venerdì 19 dicembre 2008

Perchè è fallito il "bailout" per l'industria delle auto

Il fallimento del "bailout", il piano di salvataggio delle industrie automobilistiche con un intervento statale di 15 miliardi di dollari, è stato causato principalmente dai Repubblicani moderati del Campidoglio, che in questi ultimi giorni di legislatura (il nuovo Congresso non è ancora insediato, e queste sedute sono chiamate "anatra zoppa") sono divisi tra la encessità di salvare le industrie e la volontà di attenersi ai propri principi, già traditi con il "bailout" di settembre.
La Casa Bianca aveva trovato faticosamente un accordo con i Democratici per votare un pacchetto di aiuti immediati a General Motors, Ford e Chrysler. I Democratici avevano annunciato il voto a favore, mentre i Repubblicani conservatori si erano opposti ponendo condizioni che non erano state accettate: che i salari dei dipendenti di Gm, Ford e Chrysler fossero ridotti al livello di quelli dei concorrenti non sindacalizzati, a cominciare dalle case giapponesi, gia nel 2009. Questo ha fatto diventare i Repubblicani moderati l'ago della bilancia.
Sia Bush che molti osservatori erano convinti che questi non avrebbero fatto mancare il proprio voto ad un provvedimento che, per quanto impopolare tra la destra, era necessario per evitare fallimenti clamorosi. I fatti gli hanno dato torto, e il piano non ha ottenuto neanche i voti necessari per essere portato in aula.
Va anche aggiunto che al Senato i Democratici non hanno potuto contare su tre voti chiave, quelli di Obama, Biden e Hillary Clinton.
Ora GM e Chrysler rischiano di entrare in amminstrazione controllata entro fine anno. Ford ha chiesto linee di credito per il futuro. Gm ieri notte ha già ingaggiato esperti legali e finanziari, tra cui Harvey R. Miller di Weil Gotshal & Manges, per preparare un eventuale ingresso in Chapter 11.
Ora, dicono gli esperti, l'unica speranza per le tre case automobilistiche e' che l'amministrazione Bush decida di garantire al settore l'accesso al Tarp, il piano di aiuti per il comparto finanziario.

giovedì 18 dicembre 2008

7 domande su Blagojevich per Obama

di Kenneth Vogel e Carrie Buddoff Brown (Politico)

Le accuse contro il Governatore dell'Illinois Rod Blagojevich e il suo capo di gabinetto John Harris hanno sollevato molte domande per il Presidente eletto Barack Obama, alcune delle quali ha risposto, e ad altre risponderà con un memoriale che verrà diramato la prossima settimana.
Di queste domande, ecco le 7 più curiose e le eventuali risposte.

1. Obama ha comunicato direttamente o indirettamente con Blagojevich a proposito della scelta del suo sostituto al Senato?
Obama ha detto chiaramente di non aver mai parlato con Blagojevich, ma non ha negato che qualcuno del suo staff lo abbia fatto.
Secondo le intercettazioni telefoniche di Blagojevich, il Governatore pensava di avere un canale di comunicazione con il team di Obama. Ad esempio Blagojevich, parlando con un rappresentante sindacale, gli dice di aver capito che è "un emissario". A un certo punto, Blagojevich si lamenta di aver capito che il team di Obama non lo ricompenserà se nominerà Senatore una persona gradita al neo Presidente. Come fa a saperlo?

2. Perchè David Axelrod è stato smentito quando ha detto che Obama aveva parlato con Blagojevich?
Il mese scorso, Axelrod descriveva una conversazione tra Obama e Blagojevich a proposito del seggio vacante. "So che ha parlato con il Governatore e che c'è una vasta gamma di nomi".
Ma poi Axelrod ha ritirato il commento dicendo di essere stato frainteso.

3. Quando ha saputo delle indagini sulla "vendita" del seggio e sull'imminente arresto di Blagojevich?
Il portavoce di Obama Robert Gibbs ha detto che Obama è venuto a conoscenza dell'arresto e delle accuse quando queste sono state rese note al pubblico. Ma altri lo sapevano prima: Jesse Jackson Jr. ha detto di aver saputo da alcuni inquirenti che le indagini erano concluse e che ci sarebbe stato un arresto.

4. Obama o il suo staff hanno contattato l'FBI o il Procuratore Patrick Fitzgerald a proposito dell'inchiesta contro Blagojevich?
Blagojevich sembrava credere che il team di Obama fosse a conoscenza dei suoi tentativi di "vendere" il seggio, e li avesse respinti. In un'intercettazione dice ad Harris di sapere che da Obama non otterrà "nient'altro che riconoscenza". Se Blagojevich ha contattato qualcuno vicino ad Obama anche solo per accennare a un accordo, questo qualcuno sarebbe stato tenuto a denunciarlo.

5. Gli inquirenti hanno interrogato Obama o qualcuno del suo team?
Obama ha detto che nè lui nè i suoi uomini sono stati contattati a nessun titolo dagli inquirenti.
Il Procuratore Fitzerald ha affermato che nelle indagini non sarà necessario interrogare Obama, ma non è chiaro se questo riguarda anche il filone di inchiesta riguardante i rapporti tra Blagojevich e Tony Rezko.

6. Quando è stata l'ultima volta che Obama ha parlato con Blagojevich?
Obama e Blagojevich hanno partecipato al congresso dell'Associazione dei Governatori a Philadelphia la scorsa settimana, dove sono stati anche fotografati insieme. Se Obama ha parlato al telefono con lui dopo le elezioni, la conversazione dovrebbe essere stata intercettata dall'FBI, cosa che al momento non risulta.

7. Obama è pentito di aver sostenuto Blagojevich?
Obama ha sostenuto l'elezione di Blagojevich in entrambi i mandati, nel 2002 e nel 2006, e nel primo era anche suo consigliere. Nel 2006, quando alcuni giornali denunciarono una possibile indagine sul Governatore, Obama definì Blagojevich " un leader che ha agito a favore del popolo dell'Illinois".
Blagojevich non sembra ricambiare la stima, visto che nell'intercettazione del 10 novembre chiama il Presidente eletto "figlio di puttana".

© 2008 Capitol News Company LLC

mercoledì 17 dicembre 2008

Arne Duncan Segretario all'Educazione

Barack Obama ha annunciato di aver scelto Arne Duncan (nella foto) come Segretario all'Educazione, una decisione che soddisfa i riformisti e che metterà i conservatori di fronte all'eccellente curriculum del politico, che come sovrintendente alle scuole pubbliche di Chicago ha portato risultati eccezionali in un settore estremamente complicato, senza tuttavia rinnegare la riforma di Bush, il "No child left behind", che piace anche ad esponenti dei Democratici.
Arne Duncan, 44 anni, è stato un giocatore professionista di basket, capitano della squadra di Harvard, e ha giocato in Australia. Dal 1992 si occupa di educazione e nel 2001 è stato nominato dal sindaco Daley sovrintendente alle scuole pubbliche di Chicago, che con oltre 400.000 studenti rappresentano il terzo bacino scolastico degli Usa.
E' l'ultimo tassello del Gabinetto di Obama (poi toccherà ai vice segretari).
Il fatto che Obama abbia tenuto per ultimo proprio questo posto può essere spiegato con la particolare attenzione che il programma del neo Presidente dedica ai temi della scuola, un argomento poco citato in campagna elettorale ma presente nell'agenda dei Democratici. Il modo con cui Obama affronterà la questione è ancora da stabilire, e il nome scelto per il Dipartimento all'Educazione fornisce alcuni indizi, tanto che l'editorialista del NYTimes David Brooks ha spiegato già la scorsa settimana in che modo un nome o un altro avrebbe cambiatol'approccio della nuova amministrazione.
Infatti è proprio all'interno del partito Democratico che si dibatte sulle soluzioni da applicare: da un lato i riformisti che sostengono un aumento degli stipendi per gli insegnanti meritevoli, finanziamenti mirati e scuole più inclusive, mentre i più conservatori, appoggiati dai sindacati della scuola, chiedono un aumento indiscriminato di fondi, classi più piccole e riforme superficiali.
Obama ha nel suo team rappresentanti di entrambe le fazioni, e in campagna elettorale non ha preso una posizione ferma, ora lodando un'iniziativa di stipendi commisurati al merito a Denver, ora appoggiandosi ai sindacati.
La posta in palio è alta, per la prima volta dono decenni ci sono le condizioni per una vera riforma del sistema scolastico americano, e questo sarà un settore su cui Obama si giocherà una buona parte delle sue chance in politica interna.
La lista di candidati comprendeva oltre a Duncan, Joel Klein, capo del Dipartimento all'Educazione di New York e capofila dei riformisti, non a caso osteggiato dai sindacati e Linda Darling-Hammond, docente a Stanford e di tendenze più conservatrici, consigliera del team di Obama.

Fonte: New York Times

martedì 16 dicembre 2008

Caso Blagojevich: Emanuel parlò con il Governatore

Rahm Emanuel, capo dello staff della Casa Bianca nella futura amministrazione Obama, ha avuto contatti con il Governatore dell'Illinois Blagojevich a proposito del seggio vacante al Senato, a quanto risulta da un'inchiesta del "Chicago Tribune".
Questo non implica in nessun modo un coinvolgimento di Obama, di Emanuel o di qualcun altro dello staff negli illeciti del Governatore, ma serve solo ad aggiungere un altro tassello al complicato quadro delle indagini e al tipo di contatti tra lo staff di Obama e quello di Blagojevich, che il Presidente eletto ha detto di voler chiarire nei prossimi giorni.
Emanuel, amico sia di Obama che di Blagojevich, avrebbe avuto i primi contatti con John Harris, capo dello staff del Governatore, il sabato precedente le elezioni del 4 novembre, nello stesso periodo in cui Emanuel veniva identificato come possibile Chief of Staff in caso di vittoria di Obama. Emanuel comunicò a Harris una lista di candidati ritenuti "accettabili" da Obama per la sua sostituzione: la lista comprenderebbe tra gli altri Valerie Jarrett (poi nominata da Obama nella sua amministrazione), la veterana dell'Iraq Tammy Duckworth e il deputato Jan Schakowsky. Poco dopo le elezioni, Emanuel chiamò di nuovo Harris per aggiungere alla lista anche il nome del Procuratore Generale dell'Illinois Lisa Madigan.
Questa circostanza sarebbe stata indirettamente confermata da Han Schakowsky, che ha raccontato al quotidiano di Chicago di aver telefonato ad Emanuel, poco dopo le elezioni, per avere qualche informazioni riguardo le posizioni di Obama sul suo eventuale successore al Senato "Emanuel mi indicò che il Presidente eletto aveva espresso una preferenza per alcuni nomi, e io ero tra questi. E' perfettamente normale che un Presidente eletto si interessi di chi occuperà il seggio che ha lasciato vacante."
Anche Rahm Emanuel lascerà un seggio vacante alla Camera quando entrerà nelle sue nuove funzioni, ma la legge dell'Illinois stabilisce un diverso processo di sostituzione per i seggi alla Camera, per i quali è richiesta un'elezione suppletiva. Nelle accuse a Blagojevich si parla anche di queste elezioni, in quanto in un'intercettazione il Governatore e i suoi complici parlano anche della possibilità di influenzare le candidature per il seggio vacante in modo da favorire persone vicine a Blagojevich.

Fonte: Chicago Tribune

lunedì 15 dicembre 2008

In cerca del posto ideale per un discorso

Lo staff di Obama è già al lavoro sull'agenda del neo-Presidente per i primi mesi di governo. Oltre all'agenda legislativa, sarà molto importante organizzare una serie di eventi internazionali per fissare le nuove basi della politica estera americana.
Così, è già certo che il prossimo 2 aprile Barack Obama sarà a Londra per partecipare al prossimo vertice dei G-20, dopo quello tenutosi a Washington il 14 e il 15 novembre.
Tra i desideri di Obama ci sarebbe però quello di tenere un importante discorso sulla politica estera da una grande capitale islamica, possibilmente nei primi 100 giorni di governo. I consiglieri di Obama sono quindi all'opera per trovare la città che meglio si adatta alle esigenze. La lista di capitali è lunga, da quelle più ovvie - Riyadh, Kuwait City, Islamabad - a quelle meno ovvie - Male (Maldive, Ouagadougou (Burkina Faso), Tashkent (Uzbekistan). Qualcuno, non si sa quanto seriamente, ha persino suggerito Dearborn, in Michigan, che conta una vasta comunità araba.
Oltre a Dearborn, Obama sarebbe propenso ad escludere anche Male e Ouagadougou, che per quanto islamiche non semrabo rientrare nel profilo richiesto.
Secondo il New York Times, la scelta potrebbe quindi ricadere su un'altra capitale, fuori dalla lista di cui sopra, ovvero Il Cairo. La capitale egiziana sarebbe scelta per esclusione: scegliere Damasco potrebbe sembrare una sorta di ricompensa per il governo siriano, e sarebbe troppo presto. Ramallah, in Palestina, è fuori discussione per motivi diplomatici e di sicurezza.
Giakarta, capitale dell'Indonesia, il paese a maggioranza musulmana più popoloso del mondo, sarebbe la più indicata, ma il fatto che Obama abbia vissuto e studiato lì per alcuni anni la farebbe sembrare una scelta di comodo.
Anche Baghdad è da escludere, sceglierla significherebbe dare l'dea di appoggiare la guerra in Iraq. Beirut è sconsigliata per motivi di sicurezza, e poi la presidenza del Libano va sempre a un cristiano.
Teheran? Neanche a parlarne. Amman? Non sarebbe una novità. Islamabad? Troppo pericoloso. Ankara? Troppo sicura, e i turchi non sarebbero entusiasti di essere usati come esempio del mondo islamico mentre cercano di entrare nell'Unione Europea. Riyadh? La sicurezza nazionale dice di no. Kuwait City, Abu Dhabi? Doha? "Non penso si terrà nel Golfo Persico" spiega un consigliere di Obama.
Resta solo Il Cairo. L'Egitto è sufficientemente musulmano, è alleato degli Usa ma ci sono tensioni che potrebbero essere risolte con un rafforzamento delle relazioni. Ci sono anche problemi di democrazia, così Obama potrebbe fare anche riferimento alla necessità di un nuovo modello politico. I servizi segreti non gradiranno, ma dal punto di vista della sicurezza ci sono parecchie differenze rispetto a Islamabad, e i diplomatici egiziani hanno già fatto sapere che Obama sarà il benvenuto in ogni momento.

Fonte: New York Times