sabato 19 luglio 2008

Obama parla di omosessualità e diritti dei gay

Barack Obama è stato spesso accusato dalla comunità gay di essersi espresso sempre in maniera troppo tiepida e abbottonata sui temi dell'omosessualità nel corso della sua campagna elettorale. Nelle scorse settimane, il senatore dell'Illinois ha anche dovuto affrontare una piccola polemica per la partecipazione ad un evento in suo sostegno di Donnie McClurkin, un cantante gospel con posizioni piuttosto nette contro l'omosessualità.

Obama ha poi acconsentito a rilasciare un'intervista al sito Advocate.com, uno dei principali siti di news della comunità gay.
L'intervistatrice ha fatto notare ad Obama il suo silenzio sugli argomenti relativi ai gay, e Obama ha negato di aver taciuto su questi temi. "Credo di aver parlato di tematiche gay più di qualsiasi altro candidato nella storia. Quello che non ho fatto è rilasciare interviste alla stampa di settore, ho sempre parlato di questi argomenti di fronte al grande pubblico. La stampa afro-americana dice la stessa cosa".
Alla domanda se la sua amministrazione riterrebbe prioritari i temi LGBT (Lesbian Gay Bisexual Transgender), Obama ha risposto "Il fatto che stia parlando di questi argomenti di fronte al grande pubblico piuttosto che limitarmi a interventi specifici è abbastanza indicativo del mio pensiero. E' facile predicare in chiesa, la cosa difficile è spiegare alla gente comune che queste cose sono importanti".
Obama ha poi detto di voler abolire la regola del "Don't Ask, don't tell". Questa è una politica dell'esercito statunitense, che proibisce a "chiunque dimostri propensione, o intenda praticare atti omosessuali" di arruolarsi nell'esercito perchè "creerebbe un inaccettabile rischio per gli alti standard di morale, ordine e disciplina, e di coesione che sono l'essenza del potenziale militare". Tuttavia la norma stabilisce che fin quando un gay o un bisessuale non rivela le sue tendenze, nessun ufficiale può investigare sui suoi orientamenti sessuali; allo stesso modo, ogni persona di orientamento gay o bisessuale non può fare "outing" fintanto che è sotto le armi.
Obama ha proposto una Atto di Non-Discriminazione, che però non comprenderebbe i transgender "E' una questione delicata. Vorrei inserire un'identità di genere nella legge, ma ad essere onesti è un argomento difficile da far approvare al Congresso". Obama ha poi parlato di matrimoni gay "Intendo far sì che i benefici di legge tocchino anche le coppie dello stesso sesso con una unione civile, rigettando il Defense of Marriage Act".
L'intervistatrice ha quindi provocato Obama facendo un parallelo tra la discriminazione verso i neri e quella verso i gay, spiegando come le unioni civili subordinate al matrimonio sarebbero una sorta di "serie B". Obama ha risposto che in nessun modo chiederà alla comunità LGBT di "aspettare il suo turno in fatto di diritti", citando una frase dalla lettera dalla prigione di Birmingham di Martin Luther King "Non chiedetemi di aspettare la mia libertà". Tuttavia "pur rispettando moltissimo i diritti delle coppie dello stesso sesso, ritengo che anche se si arriverà ad una assoluta uguaglianza di benefici, non si potrebbe comunque parlare di matrimonio. Non credo sia il modo migliore per arrivare ad una vera uguaglianza".

venerdì 18 luglio 2008

Sondaggi: prendono forma le immagini dei candidati

Un sondaggio della Associated Press-Yahoo News ha chiesto agli intervistati di definire con una sola parola Obama e McCain. Uno su cinque ha usato la parola "cambiamento" o "outsider" per Obama e l'aggettivo "anziano" per McCain.
A quattro mesi dalle elezioni, il sondaggio sottolinea che gli elettori vedono qualità e punti deboli in entrambi i candidati, che si stanno sforzando di dare una forma alle loro immagini pubbliche.
La mancanza di esperienza è una delle frasi maggiormente associate a Obama, che è diventato Senatore meno di 4 anni fa. Per McCain, Senatore senior dell'Arizona e prigioniero di guerra in Vietnam, la seconda parola più usata in associazione al suo nome è "servizio militare".
"Mio marito ed io abbiamo la stessa età di McCain, non credo che saremmo in grado di portare questo paese nella giusta direzione" ha detto Rosemary Bates, una supporter di Obama del Vermont "Siamo cresciuti in un'epoca differente. Qualcosa non va e deve essere cambiato".

Obama è visto come più empatico e caldo, McCain più forte e duro. Alla richiesta di scegliere tra una serie di frasi o parole quella maggiormente associabile ai candidati, il 12% ha associato Obama alla frase "vicino alla gente comune", mentre l'11% lo ritiene "piacevole". McCain è stato invece associato dal 24% al "servizio militare" e dal 9% all'aggettivo "decisionista".
Il servizio militare viene visto come la garanzia che McCain sarebbe "credibile nel condurre una guerra o nel guidare un paese quando è in guerra" dice Lydia Muri, supporter del Repubblicano.
In generale McCain è visto come più affidabile in politica estera, lotta al terrorismo, gestione delle armi da fuoco, mentre Obama è più affidabile sulle questioni interne come l'economia, le politiche sociali, l'ambiente.

Il sondaggio AP-Yahoo è condotto ad intervalli periodici presso lo stesso campione per verificare in che modo cambia la percezione dei candidati. Rispetto allo scorso novembre, quando è partita la ricerca, solo 4 intervistati su 10 ha la stessa opinione di Obama, mentre tra i restanti 6 prevale leggermente il numero di chi ha un'opinione più negativa rispetto a novembre. I sostenitorid i McCain sono divisi quasi equamente tra chi ha la stessa opinione, chi ha un'opinione migliore e chi ne ha una peggiore.
I bianchi sono divisi quasi a metà tra i due candidati, anche se una maggioranza più ampia ritiene di condividere maggiormente i valori di McCain. Nove neri su dieci sostengono Obama. Il sondaggio suggerisce comunque che Obama è maggiormente vittima di opinioni negative.
La sua immagine si è deteriorata soprattutto in due gruppi cruciali: il 52% dei bianchi lo vede negativamente, con un aumento di 12 punti rispetto a novembre. E il 48% ha un'opinione negativa di lui, con 17 punti in più rispetto a novembre.
In particolare Obama non h saputo allargare la sua base al di là del partito, al contrario di McCain. Obama è visto meno positivamente rispetto al partito Democratico, mentre McCain ha un consenso di 9 punti più ampio rispetto al Gop.
Obama continua a non sfondare tra i ssotenitori della Clinton.

Anche McCain ha i suoi problemi. 6 intervistati su 10 ritengono che proseguirà le politiche di Bush, e questa preoccupazione è particolarmente presente tra i bianchi.
Gli indecisi e quelli che pensano di poter cambiare idea entro novembre, così come un indipendente su 7, sono preoccupati per l'età avanzata di McCain.
Qui il sondaggio completo.

giovedì 17 luglio 2008

Obama: il mio piano per l'Iraq

In un editoriale sul New York Times, Barack Obama spiega la sua posizione riguardo la guerra in Iraq.

La richiesta da parte del Primo Ministro Nuri Kamal Al-Maliki di stabilire una tabella di marcia per il ritiro delle truppe americane dall'Iraq presenta un'enorme opportunità. Dovremmo cogliere l'attimo e iniziare il graduale ridimensionamento delle nostre forze armate che io ho a lungo invocatoe che è necessario per un successo sul lungo periodo in Iraq e per la sicurezza degli Stati Uniti.
In questa campagna elettorale le differenze sull'Iraq sono profonde. A differenza del Senatore John McCain, io mi sono opposto alla guerra prima ancora che iniziasse, e da Presidente la porterei a conclusione. Pensavo sin dall'inizio che fosse un greave errore farci distrarre dalla lotta contro Al Qaeda e i talebani invadendo un paese che non rappresentava un'imminente minaccia e non aveva niente a che fare con gli attacchi dell'11 settembre. Da allora più di 4000 americani sono morti e abbiamo speso circa 1 trilione di dollari. Quasi tutte le minacce che dobbiamo fronteggiare - dall'Afghanista ad Al Qaeda all'Iran - si sono fatte più pericolose.

Nei 18 mesi da quando il Presidente Bush ha annunciato un incremento delle truppe, i nostri soldati si sono comportati eroicamente per tenere basso il livello della violenza. Le nuove strategie hanno protetto la popolazione irachena, e le tribù sunnite hanno rigettato Al Qaeda, diminuendone il potere.
Ma sono veri anche quei fattori che mi hanno portato a contrastare questo aumento delle truppe. E' cresciuta la tensione fra i nostri militari, la situazione in Afghanistan si è deteriorata e abbiamo speso quasi 200.000 milioni di dollari in più di quanto avevamo previsto per l'Iraq. I leader iracheni hanno fallito nell'investire decine di migliaia di milioni di dollariin petrolio per ricostruire il loro paese, e non hanno raggiunto la stabilità politica che era l'obiettivo dell'aumento delle nostre truppe.

La buona notizia è che i leader iracheni vogliono assumersi la responsabilità del loro paese negoziando un piano di ritiro. Intanto il Generale James Dubik, l'ufficiale incaricato di istruire le forze di sicurezza irachene, stima che l'esercito e la polizia in Iraq sarà pronta ad assumersi l'incarico della sicurezza entro il 2009. Solo riducendo il nostro impegno possiamo spingere gli iracheni ad arrivare ad una piena transizione prendendosi la responsabilità della sicurezza e della stabilità del loro paese. Invece di cogliere l'attimo ed incoraggiare l'iniziativa dell'Iraq, l'amministrazione Bush e il Senatore McCain rifiutano di abbracciare questa transizione - a dispetto dei loro precedenti impegni a rispettare le volontà del governo iracheno. Loro chiamano ogni piano di ritiro una "resa", anche se in questo modo consegneremmo l'Iraq a un governo sovrano.

Ma questa non è una strategia per il successo, è una strategia di permanenza che va contro la volontà degli iracheni, degli americani e contro gli interessi degli Usa. Ecco perchè, nel mio primo giorno da Presidente, darò all'esercito una nuova missione: mettere fine a questa guerra.
Come ho detto in molte occasioni, dobbiamo essere cauti a ritirarci dall'Iraq, quanto siamo stati avventati ad entrarci. Dobbiamo ridurre le truppe ad un ritmo tale da completare il ritiro in 16 mesi. Sarebbe a dire l'estate del 2010, due anni da ora, e più di sette anni dall'inizio della guerra. Dopo questo ritiro, residue truppe in Iraq sarebbero assegnate a missioni specifiche: dare la caccia a residui terroristi di Al Qaeda nella zona, proteggere i cittadini americani e istruire le forze di sicurezza irachene fino a quando il governo locale non avrà fatto sufficienti progressi. Questo non sarebbe un precipitoso ritiro.
Nel perseguire questa strategia, avremo inevitabilmente bisogno di fare aggiustamenti tattici. Come ho spesso detto, mi consulterei con i comandanti sul campo e con il governo iracheno per assicurarmi che le nostre truppe si ritirino in sicurezza. Li ritireremo prima dalle aree sicure e poi dalle altre. Ci impegneremo in missioni diplomatiche per conto del governo iracheno con gli altri paesi dell'area, e stanzieremo 2 mila milioni di dollari per sostenere i rifugiati.
Mettere fine alla guerra è essenziale per raggiungere i nostri obiettivi strategici, a partire da Afghanistan e Pakistan, dove i talebani e Al Qaeda hanno trovato un'oasi sicura. L'Iraq non è il fronte centrale per la lotta al terrorismo, e non lo è mai stato. Come ha recentemente detto l'ammiraglio Mike Mullen, non avremo risorse sufficienti per finire il lavoro in Afghanistan finchè non ridurremo il nostro impegno in Iraq.
Per questo, da Presidente, manderei almeno due battaglioni da combattimento in più in Afghanistan. Non danneggerei le nostre forze armate proseguendo l'errore di tenere basi permanenti in Iraq.

In questa campagna, ci sono oneste differenze sull'Iraq, e dovremmo discuterne con lo scrupolo dovuto. A differenza del Senatore McCain, chiarirei assolutamente che non è nostra intenzione mantenere una presenza fissa in Iraq come abbiamo fatto in Sud Corea, e che ritireremmo le nostre truppe per concentrarci su un più ampio piano di sicurezza. Ma per troppo tempo, i responsabili del più grande errore strategico della storia recente degli Usa hanno ignorato ogni utile discussione preferendo lanciare false accuse di resa e di flip-flop.
Stavolta non funzionerà. E' tempo di mettere fine a questa guerra.

Barack Obama

mercoledì 16 luglio 2008

Karl Rove: Obama usa i metodi dei Repubblicani

di Karl Rove (Wall Street Journal)

Per essere una campagna che intende mettere fine alla politica degli anni di Bush-Cheney, la campagna elettorale di Obama ha preso molta ispirazione dalle strategie di Bush-Cheney del 2000 e del 2004.
Tanto per cominciare, Obama ha ammesso al New York Times che il suo personale "esercito della persuasione" prende esempio dal "Victory Commitee" che ha sponsorizzato Bush-Cheney porta a porta nel 2000 e nel 2004. Questi sforzi hanno portato milioni di volontari a registrare, convincere e far votare.

Saggiamente, l'enfasi organizzativa di Obama vuole evitare gli errori dei Democratici nel 2000, quando l'appello di Donna Brazile per una maggiore attenzione verso le iniziative della base fu largamente ignorato dall'alto comando di Gore. Evita anche gli errori del 2004, quando i Democratici consegnarono la loro organizzazione al gruppo 527 di George Soros. Questo utilizzò 76 milioni di dollari per assumere più di 45.000 impiegati di call center - presi soprattutto dalle agenzie di lavoro interinale - per registrare e spingere gli elettori a votare. Era il modello sbagliato, gli indecisi si fanno influenzare più facilmente da persone socialmente vicine piuttosto che da anonimi impiegati al minimo salariale.
Come Bush, Obama ha capito l'importanza di Internet per persuadere, comunicare e organizzare. Una delle armi segrete di Bush nel 2004 erano i circa 7 milioni e mezzo di indirizzi e-mail, di cui 1 milione e mezzo di volontari. Alcuni di loro organizzarono dei "seggi virtuali" usando il web per registrare e organizzare famiglie e amici in tutto il paese. La tecnologia offre oggi a Obama possibilità anche più ampie.
Obama sta cercando di imitare il programma di "microtargeting" del Gop, che usa potenti strumenti analitici e ampie banche dati di informazioni sulle famiglie per convincere gli elettori. Un'altra somiglianza con la campagna di Bush del 2004 è la tecnica della risposta rapida. Le accuse e gli attacchi ricevono sempre risposta, la campagna è incessantemente in fase offensiva, usando ogni canale di comunicazione.

La campagna di Obama ha anche copiato la strategia di Bush di allargare la mappa elettorale. Nel 2000 Bush puntò non solo sulle tradizionali roccaforti, ma anche sulla West Virginia (che aveva votato Repubblicano per l'ultima volta nel 1928), Tennessee (la patria di Al Gore), Arkansas (la patria di Bill Clinton), Washington e Oregon.
Sperando in un sorpasso da qualche parte, Obama vuole costringere McCain a stare sulla difensiva. Per questo si sta organizzando in Virginia, North Carolina, Georgia, South Carolina, Indiana, Nebraska, Montana, Alaska e North Dakota. E dove Bush puntò su latini, afro-americani, ebrei e cattolici per diminuire il distacco con i Democratici, Obama corteggia evangelici e veterani con spot e propaganda per diminuire i margini dal Gop.
Però ci sono dei problemi. I collaboratori di Obama ammettono che il loro scopo è contringere McCain a spendere tutti i suoi soldi. Per avere successo, un bluff deve essere credibile. In posti come il Nebraska o il North Dakota, Obama non può contare su temi locali - come fece Bush nel 2000 usando la crisi del carbone in West Virginia - per ottenere una vittoria inattesa. L'organizzazione da sola non basta. E mettere i soldi di Obama in Texas, per esempio, per vincere i cinque seggi alla Camera, farà sì che i Repubblicani del Texas lavorino duro e spendano soldi - non McCain.
I Democratici non avevano lo stesso numero di volontari del Gop. Nelle primarie, Obama ha mosso orde di volontari in tutti gli stati, ma a novembre sarà diverso. I volontari che sono bastati per cinque mesi, non basteranno per comptere contemporaneamente in 50 stati più DC in un solo giorno.

Ma il problema più grande di Obama è che, quando si passa al concreto, segue l'esempio non di George W. Bush ma di un altro Repubblicano. Nel 2000, Bush vinse le elezioni sugli stessi temi e sulle stesse posizioni con cui aveva vinto le primarie. Non ha mai ripudiato il passato, non ha mai cambiato idea.
Invece Obama ha seguito l'esempio di Richard Nixon, accarezzando le ali estreme del partito nelle primarie e passando aggressivamente al centro per le presidenziali.
Nelle primarie, Obama ha sostenuto il ritiro dall'Iraq in 16 mesi, il divieto del porto d'armi, la rinegoziazione del Nafta, si è opposto alla riforma del welfare e alla pena di morte. Ma nelle ultime settimane Obama ha cambiato posizione su tutti questi temi, abbandonando le idee liberal per altre più moderate.
Seguendo l'esempio di Nixon, Obama può forse pensare di evitare le critiche degli elettori, ma rischia la sua reputazione. La credibilità di un candidato, una volta persa, è molto difficile da recuperare, anche se ha una grande organizzazione.

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martedì 15 luglio 2008

Obama musulmano sulla copertina del New Yorker

Infuria la polemica per la copertina dell'ultimo numero del settimanale "The New Yorker", che ritrae una vignetta in cui Barack Obama appare vestito in abiti islamici mentre sue moglie Michelle, nello Studio Ovale con appeso un ritratto di Bin Laden, ha un mitra a tracolla e fa bruciare la bandiera americana nel caminetto.
La vignetta, opera di Barry Blitt e intitolata "La politica della paura", è stata accolta da condanne bipartisan. "Il New Yorker può pensare, come ci ha riferito un membro dello staff, che la copertina sia una satira delle critiche che arrivano da destra al Senatore Obama" ha detto il portavoce del Democratico "ma i lettori la giudicheranno offensiva e di cattivo gusto. E noi siamo d'accordo".
Anche da parte di John McCain è arrivata una dura condanna alla copertina: il portavoce Tucker Bonds ha detto "Siamo completamente d'accordo con le posizioni di Obama".

Il mensile, che peraltro è di tendenze liberal, ha dichiarato che la copertina intende "riunire le fantasiose immagini che si ahnno di Obama, per mostrarle come le distorsioni della realtà che in effetti sono. La bandiera che brucia, i vestiti islamici, il ritratto sul muro? Tutti questi elementi riecheggiano una calunnia piuttosto che un'altra. La satira è parte di ciò che facciamo, e serve per far uscire le cose allo scoperto, per mettere alla berlina le assurdità. E questo è lo spirito della cover" recita il comunicato della rivista.
Su Internet la vicenda sta suscitando reazioni contraddittorie. I supporter di Obama protestano contro la scelta della rivista, ma molti esponenti dell'ala sinistra dei Democratici - come il celebre blog HuffingtonPost - concordano sul fatto che la copertina rappresenti una satira contro la "politica della paura" messa in atto da molti oppositori di Obama. E i musulmani americani sono offesi per il modo in cui Obama prende le distanze dalle accuse di essere stato vicino all'Islam.

lunedì 14 luglio 2008

Sondaggi: la leadership di Obama arretra

L'ultimo sondaggio in ordine di tempo di Newsweek fa segnare una pesante battuta d'arresto per Obama, il cui netto vantaggio su McCain sembra sfumare, limitandosi a soli 3 punti, 44% contro il 41%. Un cambiamento molto netto rispetto all'analogo sondaggio di Newsweek del mese di giugno, secondo cui Obama conduceva per 15 punti, 51 a 36.
Questo arretramento si verifica in un momento strategicamente critico per ogni candidato: sconfitta Hillary Clinton all'inizio di giugno, Obama si è dovuto riposizionare a beneficio del più ampio elettorato, un compito sempre difficile ma in modo particolare per chi, come Obama, è arrivato alla nomination dopo una lunga campagna elettorale. Il calo nei consensi è dovuto in buona parte al cambiamento di posizioni su alcune questioni chiave come l'Iraq o il finanziamento pubblico ai partiti: il 53% degli intervistati (e il 50% degli ex sostenitori della Clinton) ritengono che Obama lo abbia fatto per ottenere un vantaggio politico.
I sostenitori di Obama temono invece che gli sforzi del candidato nel corteggiare la sua ex rivale Hillary Clinton, e i grandi finanziatori negli eventi pubblici, possa danneggiare irrimediabilmente il suo proposito di portare un nuovo modo di fare politica.
Questo è particolarmente vero per quelle fasce di elettorato che avevano puntato su Obama in quanto outsider al di fuori dei giochi della "vecchia politica": tra gli indipendenti, ora McCain conduce per 41 a 34, mentre a giugno Obama era avanti per 48 a 36.

I sondaggisti di Newsweek sono in difficoltà nello spiegare un così rapido cambiamento nel giro di poche settimane, tanto da mettere in dubbio la veridicità del sondaggio del 20 guigno.
In particolar modo il settimanale non si spiega il motivo della crescita di McCain. Gli attacchi diretti a Obama non hanno mai dato l'idea di andare a segno, e le proposte di McCain in tema energetico gli hanno fruttato attenzione dai media solo a sprazzi. In più il Repubblicano ha dovuto affrontare un serio rimpasto nel suo staff, e polemiche con il suo partito. Inoltre il gradimento di Bush è sempre al minimo storico, il 28%.

Il 55% degli intervistati ha un'opinione favorevole di McCain - soprattutto a causa della sua storia personale - il 32% ha un'opinione negativa. Quasi identici i risultati per Obama, 56 a 32.
A dispetto del calo di consensi, il sondaggio evidenzia molti punti di forza per il Democratico. I sostenitori della Clinton che dicono di voler votare McCain sono scesi al 17%. Il 61% degli elettori di Obama dicono di sostenerlo "fortemente", contro il 39% che sostiene "fortemente" McCain. Quattro anni fa, in questo periodo, solo il 53% dei Democratici sosteneva "fortemente2 John Kerry.
McCain però ha la leadership tra i bianchi, 48 a 36. Il sondaggio evidenzia che è ancora diffusa una certa ignoranza riguardo la religione di Obama, visto che il 12% degli intervistati ritiene che Obama abbia giurato sul Corano per la sua elezione in Senato, il 26% ritiene sia stato educato come musulmano e il 39% pensa sia andato in una scuola islamica in Indonesia, tutte accuse false.

Qui i risultati completi del sondaggio.

domenica 13 luglio 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 1980

A partire dalla sua elezione nel 1976, Jimmy Carter aveva dovuto affrontare situazioni molto difficili sia sul fronte interno che su quello estero. La bassa crescita economica sperimentata già dall'inizio del decennio si trasformò in recessione. Le difficoltà in politica estera si aggravarono e fruttarono agli Usa dei nuovi nemici. La situazione degenerò esattamente un anno prima delle elezioni, durante la rivoluzione islamica dell'Ayatollah Kohmeini in Iran. Il 4 novembre 1979 tutti i membri dell'ambasciata americana a Teheran, tra cui alcuni civili impiegati nelle aziende di Ross Perot, vennero presi in ostaggio come ritorsione per l'asilo politico dato dagli Usa allo Scià di Persia. Ogni tentativo di mediazione fu inutile, e Carter venne visto come un leader debole e incapace, e i suoi indici di gradimento già bassi scesero al 28%, sfiorando quelli di Nixon e Truman.


A fronte di una simile situazione, all'interno del partito Democratico la conferma di Carter come candidato alla presidenza appariva tutt'altro che scontata. Nell'estate del 1979 Carter lanciò un appello per l'unità, e alcuni dei possibili rivali decisero di appoggiarlo. Non fu così per Ted Kennedy, che inaspettatamente annunciò la sua candidatura alle primarie. Dopo il rifiuto di correre nel 1972 e nel 1976, ormai messosi alle spalle l'incidente di Chappaquiddick, il terzo Kennedy sembrava in grado di vincere, e i sondaggi gli assegnavano il doppio dei consensi di Carter. Si candidò anche il Governatore della California Jerry Brown, già rivale di Carter nelle primarie del 1976.
Inizialmente la crisi iraniana sembrò giovare a Carter, perchè gli americani si strinsero attorno al loro leader riportando il suo gradimento al 60%. Oltretutto Kennedy fu piuttosto vago nello spiegare il suo programma e il motivo della sua candidatura, e il vantaggio nei sondaggi scese rapidamente.
Sfruttando l'iniziale consenso seguito alla crisi, Carter sconfisse Kennedy in tutti i primi stati, guadagnando una decisa leadership. A giugno però l'approvazione per Carter tornò a scendere, per il prolungarsi della crisi, e Kennedy rientrò in gioco. Alla fine delle primarie Carter era in netto vantaggio ma non aveva la maggioranza assoluta, e Kennedy rifiutò di ritirarsi.
La convention di New York fu una delle più difficili nella storia dei Democratici e degli Usa, per l'ultima volta uno dei due candidati (in questo caso Kennedy) provò a far passare dalla sua parte i delegati vinti dall'avversario. Kennedy non riuscì nel suo intento, e solo il penultimo giorno della convention concesse la nomination a Carter, con un discorso in cui chiedeva una svolta liberal al Presidente. Nel discorso conclusivo, Carter si riferì a Hubert Horatio Humphrey, da poco scomparso, chiamandolo Hubert Horatio Hornblower (personaggio di una saga di romanzi d'avventura).
La chiusura della convention sancì ulteriormente la spaccatura nel partito, simbolizzata dalla foto dei due rivali sul palco: Carter cerca di stringere la mano a Kennedy, che gli volta le spalle e lo ignora.


In casa Repubblicana, l'ex Governatore della California Ronald Reagan era il grande favorito per la nomination, dopo averla sfiorata quattro anni prima. Il vantaggio iniziale di Reagan nei sondaggi era talmente ampio che il direttore della sua campagna elettorale decise di saltare tutti i dibattiti all'inizio della campagna. Tuttavia l'ex direttore della CIA e Presidente del partito, George H. Bush, puntò tutto su questi eventi da cui Reagan era assente e cominciò a crescere vertiginosamente nei sondaggi.
Nel primo voto, i caucus in Iowa, Bush sconfisse Reagan e ottenne il "momentum". La lotta fra i due candidati fu piuttosto aspra e toccò il culmine in un dibattito in New Hampshire, a cui Bush inizialmente rifiutò di partecipare impedendolo di fatto anche a Reagan. Alla fine il dibattito di fece e Bush non riuscì ad emergere. Pur perdendo cinque stati, Reagan conquistò il Sud grazie al suo piano di rilancio dell'economia, basato sul principio che la crescita finanziaria va creata usando incentivi per la produzione di servizi, abbassando le tasse ed effettuando tagli alla spesa pubblica. Bush definì questo programma "economia voodoo", perchè per la prima volta si proponeva di abbassare le tasse e aumentare gli introiti al tempo stesso.
Reagan ottenne senza problemi la nomination, e chiese all'ex Presidente Gerald Ford di fargli da vice. Ford chiese un posto nell'amministrazione per Henry Kissinger e Alan Greenspan, senza ottenerlo. Alla fine Reagan scelse George Bush come suo n.2.


John Bayard Anderson, moderato uscito sconfitto dalle primarie Repubblicane, si presentò in opposizione alle politiche conservatrici di Reagan. Altri candidati alle elezioni del 1980 furono Ed Clark per il Libertarian Party, David McReynolds per il Partito Socialista, Barry Commoner per il Citizens Party e Gus Hall per il Partito Comunista.
La campagna elettorale di Reagan fu condotta all'insegna dell'ottimismo per la rinascita economita, e con la promessa di avviare una politica estera più aggressiva. Jimmy Carter enfatizzò i suoi sforzi in favore della pace e accusò il rivale di voler mettere a repentaglio i i diritti civili e sociali.
Reagan promise il pareggio di bilancio in tre anni, il taglio del 30% delle tasse nello stesso periodo e il blocco dell'inflazione. Durante un discorso disse la famosa frase "La recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro. La depressione è quando tu perdi il tuo. La ripresa è quando Jimmy Carter perde il suo". Reagan commise anche molte gaffe in campagna elettorale - come quando affermò che gli alberi causano inquinamento - che diedero l'impressione di un candidato "fuori controllo", anche a causa dell'età avanzata.
Tuttavia Carter fu penalizzato dal continuo peggioramento dell'economia e dal proseguimento della crisi in Iran, con bandiere americane bruciate ogni giorno in diretta televisiva senza che si trovasse una soluzione (Ross Perot era riuscito a salvare i suoi dipendenti solo organizzando a sue spese una spedizione di recupero). I sondaggi stabilirono che Reagan e Carter erano i candidati con gli indici negativi più alti mai registrati, ed erano praticamente appaiati.
La svolta si ebbe nel secondo dibattito, una settimana prima del voto. Reagan apparve più deciso e convincente di Carter - che fece una gaffe dicendo di essersi consultato con sua figlia di 12 anni riguardo le armi nucleari - e la sua frase di chiusura del dibattito fu ciò che, a detta di molti, gli consegnò la vittoria "State meglio adesso o quattro anni fa?", chiese agli spettatori. I sondaggi che davano un piccolo vantaggio a Carter, si rovesciarono in favore di Reagan.
Le elezioni si tennero il 4 novembre. Il ticket Reagan-Bush sconfisse Carter-Mondale con quasi dieci punti percentuali di vantaggio, 50,7% contro il 41%. Anderson ottenne il 6,6%, il risultato fino a quel momento più alto per un esponente di un terzo partito. Reagan conquistò 44 stati e 489 Grandi elettori, contro gli appena 6 stati più DC e i 49 Grandi elettori del Presidente uscente. La sconfitta di Carter fu la più ampia per un presidente in carica dai tempi di Herbert Hoover contro F.D. Roosevelt nel 1932. Eletto a 69 anni e 9 mesi, Reagan è ad oggi il Presidente Usa più anziano al momento del primo mandato.
Reagan entrò in carica il 20 gennaio 1981. Poche ore dopo il suo giuramento, venne firmato un accordo con l'Iran e gli ostaggi americani furono finalmente rilasciati.