sabato 28 giugno 2008

Obama e la Clinton uniti a Unity

Unity, New Hampshire, cittadina simbolo non solo per il nome, ma anche perchè qui nelle primarie Barack Obama e Hillary Clinton hanno entrambi conquistato lo stesso numero di voti, 107.
La giornata è cominciata con Obama che ha staccato un assegno da 2300 $ per la Clinton, imitato da sua moglie Michelle.
I due ex rivali sono arrivati a Unity a bordo dello stesso aereo, conversando amabilmente per tutto il viaggio.
Una volta sul palco, i convenevoli si sono trasformati in appello all'unità "Unità, una bella parola e una sensazione magnifica" ha commentato Hillary Clinton, dopo avere preso la parola davanti a 6mila persone, radunate in un paesino che ne conta 1600, a fianco di un rilassato Barack Obama, che sorrideva e la guardava compiaciuto. "Questi otto anni di amministrazione repubblicana sono stati devastanti per il Paese e John Mc Cain non rappresenta un'alternativa - ha continuato la senatrice - Se pensate che ci sia bisogno di voltare pagina, se pensate che ci sia bisogno di un leader che porti cambiamento e progresso, allora votate per Obama".

"Abbiamo davvero bisogno dei Clinton, non solo la mia campagna ma il nostro Paese - sono state le parole del senatore dell'Illinois - per far rivivere il sogno americano in ogni angolo di America. Possiamo continuare a fare crescere la diversità tra ricchi e poveri, o possiamo ricompensare il lavoro e non più solo la ricchezza. Possiamo continuare a concedere sgravi a compagnie che poi investono all'estero o aumentare il salario minimo".
"Cambiamento" è stata la parola chiave del comizio. La Clinton si è rivolta ai suoi sostenitori dubbiosi su Obama e lo ha fatto con grande chiarezza "Chiedo loro, e lo faccio con fermezza, di cambiare idea con la massima urgenza".
A margine del comizio, il presidente della campagna elettorale della Clinton Terry McAuliffe ha assicurato che Hillary si schiererà con piglio aggressivo a favore di Barack Obama anche se lui non la sceglierà come vice. "Qualsiasi sia il suo ruolo, è pronta a scattare e a fare tutto quel che deve per la campagna di autunno" ha detto McAuliffe, aggiungendo che anche il marito, Bill Clinton, è pronto a contribuire "24 ore su 24, sette giorni alla settimana su sette".
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venerdì 27 giugno 2008

Toto-vicepresidenti: Kathleen Sebelius (D)

60 anni, Governatrice di uno stato tradizionalmente Repubblicano come il Kansas, Kathleen Sebelius rappresenterebbe la prima opzione se Obama volesse rompere ulteriormente gli schemi scegliendo una donna come vice.
Figlia di John Gilligan, ex Governatore dell'Ohio (suo stato di origine, e in cui ha ancora radici), è stata rieletta a furor di popolo in Kansas dopo aver condotto una battaglia contro gli sprechi e aver implementato i servizi. Presidente emerito dell'Associazione dei Governatori Democratici, ha acquistato influenza nel partito tanto da aver ricevuto l'incarico di rispondere al discorso sullo Stato dell'Unione nel 2008.
Già nel 2004 il suo nome era stato fatto insistentemente come running mate di John Kerry, e dopo le presidenziali erano state fatte diverse speculazioni su una sua possibile candidatura alle primarie di quest'anno. La Sebelius ha invece preferito appoggiare Obama, aiutandolo a vincere le primarie in Kansas.
Le posizioni politiche della Sebelius la hanno resa gradita anche ai Repubblicani (e non poteva essere altrimenti in Kansas): contraria all'aborto ma anche alla criminalizzazione dell'aborto, ha stanziato incentivi per l'adozione, servizi speciali per le donne incinte e corsi di educazione sessuale per i giovani. Ambientalista, si è impegnata per aumentare il tasso di riciclo in Kansas. E' favorevole al possesso di armi da fuoco a scopo difensivo ma contraria alla possibilità per ognuno di portare armi nascoste.

Pro: Sarebbe un ulteriore messaggio di cambiamento da parte di Obama; è una politica apprezzata ed esperta pur non essendo identificata come una burocrate; aiuterebbe Obama a conquistare due stati chiave come Kansas e Ohio.
Contro: troppo cambiamento potrebbe risultare controproducente; i sostenitori della Clinton potrebbero prenderla come un'offesa se Obama scegliesse una donna diversa da Hillary; non ha esperienza in politica estera e sicurezza interna.

Obama e Hillary Clinton per la prima volta insieme

Dopo aver proclamato "Yes, we can", accettando la vittoria di Obama, Hillary Clinton si è ritirata dalla campagna elettorale evitando ogni strascico polemico. Nelle poche apparizioni pubbliche si è anche lasciata andare a moderate lodi per il programma di Obama, ha evitato di esprimersi in un senso o nell'altro su un possibile ticket, ed è stata riaccolta con grande calore in Senato e all'interno del partito, dove fino a qualche settimana prima molti leader la avevano criticata.
Ora è il momento di rendere effettiva la promessa di impegnarsi per Obama, e oggi Hillary e il nominato Democratico faranno la prima apparizione congiunta in campagna elettorale, a cui è prevedibile che ne seguano molte altre.
I sondaggi dicono che, finite le acredini delle primarie, pian piano gli elettori della Clinton si stanno allineando dietro Obama, ma la strada per unire il partito è ancora molto lunga, e sono diversi gli stati chiave in cui gli elettori della Senatrice potranno risultare decisivi.
I due ex rivali si sono incontrati giovedì sera al Mayflower Hotel di Washington ad un meeting organizzato per raccogliere fondi per Obama, con la partecipazione di quelli che finora sono stati i maggiori finanziatori della Clinton.
Oggi i due terranno un comizio in New Hampshire, a Unity, e mai nome poteva essere più indicato.
Nei giorni scorsi, Obama aveva a sua volta incitato i suoi finanziatori ad aiutare la Clinton a ripianare i debiti contratti in campagna elettorale, che si aggirano attorno ai 20 milioni di dollari, di cui 12 provenienti dal suo patrimonio personale. Una richiesta che in alcuni casi ha ricevuto risposte critiche.
La richiesta rientra comunque negli accordi tra i due candidati, ed è solo uno dei tanti punti su cui i due staff stanno discutendo ancora. Dal punto di vista teorico non dovrebbero esserci problemi, ma dal punto di vista pratico non è così facile. Obama si è finora appoggiato in prevalenza sui piccoli contributi piuttosto che sui grandi finanziatori, e quindi la cifra che può assicurare alla Clinton è paradossalmente più bassa di quella che i finanziatori della Clinton potrebbero assicurare ad Obama (ricordo che ogni finanziatore ha un tetto di offerte per ogni candidato, quindi i finanziatori della Clinton non possono più aiutare la Senatrice).
In molti attendono che Obama faccia il gesto simbolico di staccare un assegno da 2.300 $ (il massimo consentito) per la ex rivale.

Anche Bill Clinton si è schierato per Obama, dopo averlo criticato anche aspramente durante le primarie. Sebbene i rapporti tra l'ultimo presidente democratico e colui che vorrebbe essere il prossimo inquilino della Casa Bianca siano al momento abbastanza freddi - i due non si sono mai parlati dopo la fine delle primarie - Bill Clinton ha fatto sapere, tramite una laconica frase diffusa dal suo portavoce Matt McKenna, di volere "ovviamente essere pronto a fare tutto il possibile per fare in modo che Obama sia il prossimo presidente degli Stati Uniti".

giovedì 26 giugno 2008

Sondaggi: aumenta il vantaggio di Obama

E' buona norma nelle campagne elettorali prendere con le molle i sondaggi, specialmente - nel caso americano - quelli che prendono in considerazione l'intera nazione e non i singoli stati. L'attendibilità spesso lascia a desiderare, e in ogni caso le recenti esperienze dimostrano che all'elettorato basta poco per cambiare idea.
I sondaggi rilasciati nell'ultima settimana tracciano però un quadro piuttosto netto e al tempo stesso sorprendente. Dalla fine delle primarie, e dall'uscita di Hillary Clinton dalla corsa, Obama ha preso il volo.
Il sondaggio della FoxNews (network vicino ai Repubblicani) è quello più favorevole a McCain, che viene dato al 39%, 3 punti sotto Obama, al 42%.
Più equilibrato il risultato del sondaggio di Washington Post e ABC: 48% a 42% per Obama (4 anni fa, WP e ABC davano John Kerry con un identico vantaggio su George Bush). Questo sondaggio mostra come McCain sia leggermente preferito dall'elettorato indipendente, e abbia il sostegno di 9 Repubblicani su 10. Obama ha invece il sostegno di 8 Democratici su 10.
McCain è però penalizzato dall'eredità di Bush: il 57% degli elettori ritiene che proseguirebbe le politiche del Presidente in carica. Inoltre il 73% dei sostenitori di McCain si dicono entusiasti della sua candidatura, contro il 91% dei supporter di Obama. In particolare, solo il 13% dei conservatori sono molto entusiasti di McCain.
Un sondaggio Wall Street Journal / NBC (nell'immagine) mostra un risultato simile: 47% a 41% per Obama. Il distacco contrasta però con l'opinione comune degli elettori che, alla richiesta di scegliere il partito vincente senza pensare ai candidati, ha scelto per il 51% i Democratici e per il 35% i Repubblicani. Una buona notizia per Obama viene invece dagli ispanici e dai sostenitori della Clinton, che dopo il ritiro della senatrice lo appoggiano in stragrande maggioranza.
Per quanto riguarda i potenziali vicepresidenti, sono in testa Hillary Clinton (51%) e Mitt Romney (42%)

Gli ultimi due sondaggi in ordine di tempo si sono invece rivelati degli outlier, come in statistica vengono definiti i risultati che rappresentano delle anomalie. Rispetto a tutti gli altri, questi sondaggi danno a Obama un vantaggio in doppia cifra.
Newsweek dà a Obama un distacco di ben 15 punti, 51% contro 36%. Il Democratico vincerebbe in tutte le categorie di elettori, tra gli indipendenti come tra i bianchi e gli anziani. Obama ha un indice di gradimento del 62%, McCain del 49%. Il sondaggio ha preso in considerazione anche le potenziali First Lady: Michelle Obama riscuote un consenso del 49% contro un dissenso del 22%, Cindy McCain è invece a 33 contro 19, con un 36% di persone che non ha un'opinione su di lei.
Il grado di soddisfazione degli americani per l'andamento del loro paese è al 14%, lo stesso registrato nel 1992, quando Bill Clinton sconfisse George H. Bush.

Anche il sondaggio Los Angeles Times - Bloomberg conferma questo distacco. Tenendo in considerazione una corsa a due, Obama ha un vantaggio di 12 punti, 49% contro 37%. Il sondaggio prende però anche in considerazione gli altri due candidati Ralph Nader e Bob Barr. In questo secondo scenario il vantaggio di Obama diventa di 15 punti, 48% a 33%, perchè Barr danneggerebbe McCain più di quanto farebbe Nader con Obama. Curiosamente, però, Nader è accreditato al 4% contro il 3% di Barr, quindi anche Nader pescherebbe soprattutto nell'elettorato indipendente orientato verso il Repubblicano.
La leadership di Obama è dovuta alla preoccupazione degli americani per l'economia, tema su cui il candidato Democratico è visto come di gran lunga il più affidabile. McCain è visto come più adatto a fronteggiare il terrorismo, che però è piuttosto in basso tra le preoccupazioni degli americani, in questo momento. Il consenso di McCain tra i conservatori è del 58%, con un 15% intenzionato a votare Obama, mentre il consenso tra gli evangelici e la destra religiosa è al 60%.

Vice: chi vuole, chi non vuole, chi non parla, chi giudica

Le dichiarazioni dei politici il cui nome è stato fatto come possibili "running mates" alle elezioni di novembre non fanno necessariamente testo - in alcuni casi si tratta di tattiche attendiste, soprattutto per quanto riguarda i Democratici che non vogliono intromettersi nel possibile ticket Obama-Clinton - ma vale la pena riportarle.

Il Governatore della Pennsylvania Ed Rendell, uno dei più accesi sostenitori di Hillary Clinton, ha ribadito il suo impegno per Obama ma anche la sua totale indisponibilità a ricoprire la carica di vicepresidente "Se mi verrà chiesto dirò di no, se sarò inserito nel ticket rifiuterò, se verrò eletto non accetterò. Più chiaro di così..." ha affermato, ma già a febbraio aveva dichiarato di non voler servire come vice, nel caso Hillary Clinton glielo avesse chiesto.

Joe Biden, che nei mesi scorsi aveva affermato che non avrebbe accettato la vicepresidenza, ha fatto un passo indietro "Quando l'ho detto ero ancora in corsa per la Presidenza. Adesso ho fatto sapere al candidato che non mi interessa la vicepresidenza, ma se me lo proporrà non potrò fare altro che accettare. Se il candidato riterrà che potrei aiutarlo a vincere, come potrei dire al primo afro-americano in grado di cambiare la storia mondiale che non voglio aiutarlo? Ma non me lo chiederà". Biden ha anche criticato la scelta di Obama di rinunciare al finanziamento pubblico "E' una scelta che non aiuta in nessun modo la riforma del sistema politico, e anzi la renderà più difficile".

Tom Daschle è su posizioni simili "Non mi interessa la vicepresidenza, ne ho già parlato con Barack, e non credo che me lo chiederà. Ma se dovesse farlo, ovviamente dovrei prendere in considerazione l'offerta".

La Speaker della Camera Nancy Pelosi ha invece suggerito a Obama il nome di Chet Edwards, deputato del Texas, che ha detto di essere disposto ad accettare l'incarico.

Carly Fiorina, consigliere di McCain ed ex capo esecutivo della Hewlett & Packard si è detta disponibile ma scettica "Chiunque sarebbe onorato di servire McCain, e anche io. Ma ha una lunga lista di persone altamente qualificate, e io sto aiutando McCain nella selezione".

Tim Pawlenty, Governatore del Minnesota: "Sono concentrato sul mio attuale lavoro, e la vicepresidenza non è una cosa a cui ho pensato. Sono contento di fare il Governatore del mio stato".

Le quotazioni di Bobby Jindal sono leggermente in ribasso dopo che ha espresso critiche alla posizione di McCain sui finanziamenti per la ricostruzione di New Orleans, ma ieri alla Fox ha appoggiato la proposta del Repubblicano di cercare petrolio nel Golfo del Messico e si è detto onorato dal fatto di essere tra i potenziali vice.

Infine il National Review, l'organo ufficiale dei conservatori americani, esce questa settimana con una copertina (nella foto) che chiarisce chi sono i candidati sgraditi all'elettorato conservatore: Joe Lieberman, Charlie Crist, Mike Huckabee e Tom Ridge.

Fonte: Associated Press, Politico

mercoledì 25 giugno 2008

Il Governatore della Louisiana, l'anti-Obama?

di Sasha Issenberg (The Boston Globe)

Le t-shirt rosse indossate dai supporter di Bobby Jindal durante la campagna elettorale dello scorso anno per l'elezione del Governatore sono per i Repubblicani la cosa più vicina all'iconografia di Obama. Proclamavano "Louisiana Revolution", con il volto del candidato impresso nello stile bi-colore di Che Guevara.

Il suo insolito profilo - 36 anni, indiano-americano, conservatore religioso - lo hanno lanciato tra i favoriti per la candidatura alla vicepresidenza. Jindal viene visto come una risposta alla novità rappresentata da Barack Obama, e come l'uomo a cui il partito potrà affidarsi per rifarsi l'immagine.
Jindal, di indole modesta, ha rivoluzionato lo stato sociale e il sistema sanitario della Louisiana, e rappresenta un movimento, anche radicale, che vuole la competenza prevalere sul carisma.
Subito dopo essere entrato in carica, ha promulgato una nuova legislazione con restrizioni etiche, ha promosso l'insegnamento del creazionismo nelle scuole e ha bloccato la ricerca sulle cellule staminali.
E' stata questa rara congiunzione di efficienza legislativa e crociate morali e religiose a portare Rush Limbaugh, Newt Gingrich e il Washington Times a consigliare a McCain di scegliere Jindal.
Ambizioso e abituato a bruciare le tappe, Jindal è stato eletto quando aveva solo un anno in più dell'età minima consentita dalla legge per diventare Governatore, ma aveva già svolto sei diversi lavori nell'amministrazione governatoriale, mentre ha conseguito anche un master e ha lavorato come consulente.
In uno stato che è stato da sempre caratterizzato dalla diffusione di personaggi coloriti e vignette politiche, Jindal non si è mai trasformato in una macchietta "Non ci sono aneddoti su Jindal" dice Roy Fletcher, stratega locale "E' un tecnocrate piatto".
Jindal non ha nemmeno soprannomi, a parte "Bobby", preso in prestito a 4 anni dalla sit-com Brady Bunch per sostituire il suo vero nome, Piyush.
L'ex Governatore Mike Foster lo assunse a 24 anni come amministratore del sistema sanitario, allora in ancarotta "Aveva il poco invidiabile compito di dover fare draconiani tagli di budget che gli hanno causato pene e sofferenze. Ma si comportava come se gli piacesse." spiega Bob Mann, all'epoca consigliere del senatore Democratico John Breaux.
La fama conquistata da Jindal lo portò ad essere assunto da Breaux come direttore esecutivo della commissione bipartisan Medicare. Successivamente, Foster nominò Jindal presidente del sistema universitario della Louisiana. Figlio di un immigrato del Punjabi convertito al cattolicesimo, Jindal si trovò a diventare ben preso un beniamino dei conservatori religiosi. Nel 2003 Foster incoraggiò Jindal a candidarsi come Governatore, ma perse contro la Democratica Kathleen Blanco, che però fallì nel fronteggiare il terribile uragano Katrina, e decise di non ricandidarsi, spianando la strada a Jindal nel 2007.

Jindal e McCain si sono incontrati a New Orleans a dicembre per discutere della ricostruzione dopo Katrina. "John da sempre cerca di allargare la sua base, e Bobby si ricollega in maniera positiva ai giovani elettori "spiega Bobby Roemer, ex Governatore della Louisiana e consigliere di McCain "Bobby ci ricorda chi possiamo essere. Ha la stessa forza di Obama, rappresenta il rinnovamento dell'America".

© Copyright 2008 Globe Newspaper Company.

martedì 24 giugno 2008

Un (altro) mancino alla Casa Bianca

Comunque vadano le elezioni di novembre, una cosa è certa già da ora: il prossimo inquilino della Casa Bianca sarà mancino. Sia Barack Obama che John McCain usano di preferenza la mano sinistra, contribuendo a un fenomeno che sembra appassionare sia storici che ricercatori: nonostante i mancini rappresentino a malapena il 10% della popolazione americana, dominano la scena politica presidenziale.
E' un fatto che trascende l'appartenenza politica, negli ultimi 35 anni 5 Presidenti su 7 sono stati mancini: Gerald Ford, Ronald Reagan, George H. Bush e Bill Clinton. Solo Jimmy Carter e il Presidente in carica George W. Bush tengono alta la bandiera dei destrorsi.
Questa caratteristica si allarga anche ai vicepresidenti e agli aspiranti presidenti: sono mancini Al Gore, Bob Dole, John Edwards, Bill Bradley e Ross Perot. E' mancino anche il sindaco di New York Michael Bloomberg, che ha accarezzato l'idea di candidarsi alla Casa Bianca e potrebbe rientrare in gioco come vicepresidente.

Gli studiosi hanno scoperto che la preferenza nell'uso della sinistra ha le sue radici in motivi genetici e nelle funzioni cerebrali. I mancini, preferendo l'emisfero sinistro del cervello, sono più portati a sviluppare funzioni cerebrali bilaterali, che li può portare a visualizzare le questioni in maniera più ampia e a sviluppare soluzioni più complesse, ma niente che spieghi l'anomalia statistica che coinvolge i comandanti in capo americani. Ma non può essere una semplice coincidenza "Le possibilità che sia solo un caso sono una su mille" dice il professor Daniel Geschwind, docente di neurologia. Tantopiù che prima del 1974 solo due Presidenti su 37 sono stati mancini: James Garfield ed Harry Truman.
Fonte: New York Sun

McCain non è Dole, parola del New York Times

di Adam Nagourney (New York Times)

Sono eroi di guerra con ferite da mostrare. Sono conosciuti per il carattere irruento e caustico. Sono tra i più anziani candidati alla presidenza.
E i Democratici sperano che la candidatura di Bob Dole nel 1996 sia lo schema che seguirà quest'anno John McCain.
Ma per ogni significativa somiglianza, ci sono anche sufficienti differenze tra i due Repubblicani da rendere fuorviante ogni paragone.
Dole era il volto dell'establishment legislativo di Washington. McCain ha sfruttato un'immagine di indipendente dal suo stesso partito.
McCain ha preso le distanze dalla politica del Presidente in carica. Dole corse contro un'istituzione che aveva a cuore, rendendo ai Democratici ancora più facile il compito di identificarlo con gli eccessi del Partito Repubblicano nel periodo in cui lo Speaker della Camera Newt Gingrich e l'ala conservatrice del partito cercavano di reimpossessarsi della politica interna.

Dole, seguendo i consigli dei suoi collaboratori, alzò un muro che lo tenne distante sia dai giornalisti che dagli elettori. La campagna elettorale di McCain è fatta di continui incontri con i cittadini in giro per il paese.
Non è un caso che McCain abbia spesso fatto campagna per Dole nel 1996 e abbia preso nota degli errori del collega - dall'incapacità di raccogliere fondi al modo in cui si rapportò con i media e l'elettorato. Nello staff di consiglieri di McCain non è presente nessuno dei principali collaboratori di Dole nella campagna del 1996.

Bob Dole, ferito nella Seconda Guerra mondiale, indossò un braccialetto col nome di McCain quando McCain era prigioniero di guerra in Vietnam. E di recente ha scritto una lettera per difendere le credenziali da conservatore di McCain (nonostante Dole, come McCain, abbia spesso faticato a convincere i conservatori di essere uno di loro).
Ciononostante i due non sono particolarmente amici, McCain non ha chiesto consigli a Dole, e Dole non è esattamete un habituè sul pullman di McCain.
I Democratici guardano alla campagna di Dole e pensano che quella di McCain seguirà gli stessi passi, con lo stesso risultato.
Il paragone è ovvio: entrambi hanno dovuto fronteggiare problemi di gestione dello staff, entrambi sono presenze fisse nei talk show della domenica mattina, entrambi - anche se separati da 13 anni - appartengono a una generazione i cui valori sono totalmente differenti da quelli dei "babyboomers".
Entrambi sono insofferenti allo stile politico moderno, a insistere su un unico messaggio, a resistere alla tentazione di rilasciare dichiarazioni impulsive, a leggere il gobbo elettronico. Entrambi hanno un senso dell'umorismo che può diventare di volta in volta un punto di forza o una vulnerabilità.
Il fatto che entrambi abbiano sofferto ferite che li hanno segnati a vita ha creato una sensibilità simile. "Entrambi hanno attraversato una lunga riabilitazione" spiega Bob Kerrey, ex senatore Democratico del Nebraska a cui venne amputata parzialmente una gamba in Vietnam "Essendo passato anch'io attraverso qualcosa di simile, posso dire che ti dà una prospettiva diversa. Penso ti faccia provare maggiore empatia per le persone che soffrono. In particolar modo questo vale per Dole".
Ma Obama sarà in grado di identificare McCain come simbolo dell'establishment allo stesso modo in cui Clinton fece con Dole?
"Non puoi far passare McCain come una creatura di Washington, perchè è sempre stato lontano da questa etichetta" spiega Scott Reed, manager della campagna elettorale di Dole.
Dole era l'uomo dei Repubblicani in Senato, ed essendo stato diverse volte leader della maggioranza veniva identificato con il partito anche dopo aver lasciato il posto. Non è così per McCain.
In fin dei conti, la principale differenza tra Dole e McCain può dipendere meno dai candidati che dal clima. "Dole correva contro un Presidente in carica durante un periodo di pace e prosperità" spiega Reed "McCain corre contro un fenomeno popolare con le sorti del Partito Repubblicano appese al collo".

Copyright 2008 The New York Times Company

lunedì 23 giugno 2008

Toto-vicepresidenti: Charlie Crist (R)

52 anni, originario della Pennsylvania, Charlie Crist è Governatore della Florida dal 2007, succeduto a Jeb Bush. Il suo endorsement a John McCain alla vigilia delle primarie in Florida è stato decisivo per l'ottimo risultato del Senatore dell'Arizona, che grazie alla vittoria nel Sunshine State ha ricevuto una spinta decisiva per arrivare al Super Tuesday da favorito e raggiungere subito la nomination. Da allora il nome di Crist è in ogni lista di possibili vicepresidenti.
Crist condivide con McCain l'impegno in campo ecologico, e da Governatore uno dei suoi primi atti è stato imporre nuovi e più restrittivi standard per l'inquinamento nelle città, con l'impegno di ridurre le emissioni di gas serra. Crist è apprezzato anche in casa Democratica per il suo impegno contro le discriminazioni razziali, tanto che il deputato Democratico Terry Fields lo ha definito "Il primo Governatore nero della Florida".
Crist è comunque ben visto dai conservatori del Partito Repubblicano per le sue posizioni "pro-life" sul tema dell'aborto, per il suo sostegno al Defense of Marriage Act in opposizione alle unioni gay e per il suo appoggio al possesso di armi da fuoco e alla pena di morte.
Charlie Crist si è anche contraddistinto per il suo supporto al "diritto alla morte" e al testamento biologico.
In questa campagna elettorale, Crist appoggia la proposta di McCain di cercare petrolio nel Golfo del Messico per abbassare i prezzi del carburante, nonostante la maggioranza degli abitanti della Florida sia contraria.

Pro: è giovane ma al tempo stesso abbastanza qualificato da ricoprire il ruolo di vicepresidente (o di subentrare in caso di necessità); è ben visto da Repubblicani, Democratici e Indipendenti; assicurerebbe a McCain i 27 Grandi Elettori della Florida; sarebbe una figura importante dal punto di vista dell'immagine per la campagna elettorale di McCain.
Contro: se i sondaggi dovessero mostrare McCain favorito in Florida anche senza Crist nel ticket, sarebbe preferibile puntare su un'altra figura; alcune passate controversie (come la presenza di alcuni finanziatori "scomodi") potrebbero tornare a galla in campagna elettorale; è divorziato e attualmente single (il fatto, considerato insolito per un politico nella sua posizione, è stato al centro di un articolo del NY Times ed ha causato pettegolezzi su una sua presunta omosessualità).

10 cose che Obama può fare con tutti quei soldi

Ora che Barack Obama ha rinunciato ai finanziamenti pubblici per la sua campagna elettorale è libero di attingere ai finanziamenti privati, come ha fatto nel corso di tutte le primarie, e secondo le previsioni potrà raccogliere fino a 350 milioni di dollari tra donazioni tramite il suo sito e investimenti da parte dei finanziatori Democratici. Per il momento Obama sembra aver acquistato degli spazi pubblicitari che andranno in onda sulla NBC durante la trasmissione dei giochi olimpici di Pechino ad agosto (assieme agli spot di multinazionali come Nike, General Motors e McDonald's), ma come potrà spendere tutti quei soldi nei due mesi di campagna elettorale? Ha provato a rispondere sul sito Advertising Age Evan Tracey, uno dei più importanti analisti politico-economici delle campagne elettorali statunitensi, che ha esposto dieci idee per utilizzare al meglio i soldi raccolti.

1. Assumere ogni possibile consulente Democratico per i media. Dovrebbe farlo non perchè abbia bisogno di aiuto nel settore della comunicazione, ma perchè se tutti sono sul suo libro paga, nessuno potrà collaborare con i "527" (gruppo di influenza bipartisan e indipendente dai candidati, che hanno il potere di finanziare campagne pubblicitarie e altre iniziative di propaganda politica. Obama si è più volte scontrato con loro, anche con quelli che ufficiosamente lo sostengono N.d.G.), o sparlare di lui ai media complicandogli la vita.

2. Acquistare molti spazi pubblicitari sulle tv e sulle radio negli stati in bilico. Non sarà facile trovare molti spazi disponibili e ottenere un vantaggio significativo, anche perchè a John McCain sarà data parità di accesso, e ci dovrà comunque essere spazio per spot estranei alla campagna elettorale. Tuttavia Obama sarà capace di adattare i suoi muscoli finanziari in media "non tradizionali".

3. Puntare sul target demografico delle trasmissioni sportive radiofoniche, a livello locale e nazionale. Mi spiace per le signore dell'alta società, ma quest'anno la strada verso la Casa Bianca è lastricata di voti maschili. Le talk show sportivi alla radio sono un ottimo modo per parlare agli uomini. Se McCain vuole vincere a novembre deve avere il massimo di voti dai maschi tra i 18 e i 55 anni. Se Obama riesce ad ottenere un buon risultato in questo target dovrebbe essere abbastanza per ottenere la vittoria finale.

4. L'autunno è fatto per lo sport dal vivo, bisogna comprare spot nel football dei college, la Ryder Cup, i playoff della Major League di baseball e,sì, la NFL. Solo un'osservazione: la terza giornata della I divisione di football è fissata per il 13 settembre (il sabato successivo alla convention Repubblicana) e presenta incontro clou come Hawaii-Florida, Michigan-Notre Dame e Ohio State-USC. Potete immaginare quanti scontri tra stati-chiave ci saranno prima di novembre.

5. Mandare in onda spot da 60 secondi. La campagna elettorale di Obama è iniziata con uno spot da 60 secondi. Costano di più, ma che importa?

6. Produrre video per il web. In queste elezioni bisogna comunicare con i due principali blocchi di elettorato - gli adulti del baby boom e i loro figli. Rappresentano una fetta importante di elettorato ma hanno un consumo mediatico molto diverso. Obama avrà i soldi e la capacità di parlare a tutti gli elettori sui medium con cui sono più a loro agio.

7. Comprare spot televisivi in tutti i 50 stati il giorno dopo la convention Democratica. E' un atto dovuto, ma anche un modo per dire che ti sei candidato per tutti gli americani.

8. Fare spot dal vivo. Sarebbe fantastico (e molto dispendioso) - mi immagino un nuovo spot ogni giorno, mandato in onda dai luoghi del paese in cui vuole portare il cambiamento. Qualcosa del tipo "Sono Barack Obama e oggi mi trovo in Ward 8 a New Orleans..." e il giorno dopo da Crawford, in Texas.

9. Cercare di comprare spazi pubblicitari dagli skywriters, nei maxischermi vicino agli aeroporti, nei display degli ascensori nei centri commerciali. Va bene tutto quando hai soldi da buttare.

10. Vedere se Ron Paul affitta il suo dirigibile Blimp.

domenica 22 giugno 2008

Le elezioni che hanno fatto storia: 1968

All'inizio del 1968, non sussistevano dubbi sul fatto che il Presidente Johnson si sarebbe ripresentato. Anche se era in carica da due mandati, il 22° emendamento gli consentiva di ricandidarsi perchè, essendo subentrato per 14 mesi a Kennedy nel 1963, quello cominciato con la sua elezione del 1963 era il "vero" primo mandato. Nel corso degli ultimi 4 anni, Johnson aveva conseguito numerosi successi politici, combattendo la povertà, firmando la legge sui diritti civili e iniziando l'esplorazione dello spazio.
Tuttavia, proprio tra il 1967 e il 1968 la popolarità di Johnson subì dei duri colpi, soprattutto a causa delle tensioni razziali che avevano portato a duri scontri nelle grandi città e che sarebbe culminata il 4 aprile 1968 con l'assassinio di Marthin Luther King, e alla guerra in Vietnam, che il Presidente aveva fortemente appoggiato e che si era ormai rivelata un vicolo cieco.


Nonostante questi insuccessi, nessuno dei leader Democratici se la sentì di correre contro il Presidente in carica. Lo fece solo il Senatore Eugene McCarthy del Minnesota, portabandiera dei movimenti pacifisti, presentandosi contro Johnson nelle primarie del New Hampshire. Johnson vinse, ma con scarso margine e senza raggiungere il 50%. Decise perciò di ritirarsi, prendendo atto dell'insuccesso confermato dai sondaggi e delle sue cattive condizioni di salute (infatti morì il 22 gennaio 1973, ovvero due giorni dopo la fine del mandato presidenziale iniziato con le elezioni del '68). A quel punto annunciarono la loro candidatura contro McCarthy Bob Kennedy e il vicepresidente in carica Hubert Humphrey. Kennedy e McCarthy si sfidarono nelle primarie, mentre Humphrey preferì aspettare la convention (le primarie si tenevano in soli 13 stati).
McCarthy vinse in 5 stati e Kennedy in 4, ma Kennedy vinse 3 dei 4 stati in cui concorrevano l'uno contro l'altro. McCarthy tuttavia si rifiutò di ritirarsi anche dopo aver perso per 46 a 42 in California.

Restavano solo le primarie di New York per decidere chi dei due avrebbe sfidato Humphrey alla convention, ma dopo il discorso della vittoria in California, il 5 giugno, il terrorista palestinese Sirhan Sirhan sparò a Bob Kennedy, che morì 26 ore dopo.
Gli storici dibattono tuttora sulle reali possibilità di Kennedy di ottenere la nomination: anche se avesse vinto, come probabile, le primarie di New York avrebbe comunque dovuto convincere i numerosi delegati schierati con il vicepresidente a passare dalla sua parte.
Alla convention i delegati di Kennedy non riuscirono a unirsi attorno a un altro candidato: alcuni scelsero McCarthy, altri il Senatore George McGovern, supporter di Kennedy. In una Chicago messa a ferro e fuoco dalle manifestazioni contro la guerra in Vietnam, Humphrey vinse facilmente al primo voto e scelse Edmund Muskie come vice.


In casa Repubblicana l'ex vicepresidente Richard Nixon fu da subito il front-runner. In un primo momento il Governatore del Michigan George Romney provò a contrastarlo, forte di sondaggi incoraggianti, ma una sua gaffe sulla guerra in Vietnam lo mise fuori gioco (inizialmente osteggiava la guerra, ma poi cambiò idea dicendo in un'intervista "i militari e i diplomatici mi hanno fatto il lavaggio del cervello").
Uscito di scena Romney, fu la volta del Governatore di New York Nelson Rockefeller, leader dell'ala liberal del GOP, ma la sconfitta in Massachusetts lo fece desistere. Infine fu la volta del Governatore della California Ronald Reagan, che rimase in corsa fino alla fine e, vincendo nel suo stato d'elezione, ottenne la maggioranza nel voto popolare.
Tuttavia alla convention di Miami Rockefeller e Reagan non riuscirono a unire le loro forze e Nixon vinse al primo voto scegliendo Spiro Agnew come vice.


Alle elezioni di novembre si presentò anche il Governatore segregazionista dell'Alabama George Wallace, che dopo aver provato a candidarsi per i Democratici era uscito dal partito fondando l'American Independent Party.
Nixon condusse una campagna elettorale basata sullo slogan "Law and order", facendo appello al sentimento di insicurezza presente in molti americani a causa delle violenze nelle grandi città. La campagna elettorale del Repubblicano fu mediaticamente accurata, mentre quella di Humphrey fu più irruenta anche a causa dello svantaggio nei sondaggi.
A ottobre, Humphrey provò a giocare il tutto per tutto prendendo le distanze da Johnson e chiedendo di fermare la guerra in Vietnam. Johnson ordinò uno stop ai bombardamenti e questo portò Humphrey a raggiungere nei sondaggi Nixon, che aveva provato a sfruttare a suo vantaggio i rapporti diplomatici con la presidente sud-vietnamita Thieu.

L'esito delle elezioni del 5 novembre fu incerto fino alla mattina successiva, ma Nixon riuscì a vincere, sia pure di pochissimi punti, California, Ohio e Illinois, assicurandosi un vantaggio di 512.000 voti, con 32 stati e 301 Grandi elettori, contro i 13 stati più DC e i 191 Grandi Elettori di Humphrey.
Dopo queste elezioni, nel Partito Democratico si avviò la riforma del sistema di selezione dei candidati presidenziali. I sostenitori di Kennedy e McCarthy presero le redini del partito avviando un cambiamento che, nel 1972, avrebbe reso il processo molto più democratico con primarie in tutti gli stati, togliendo potere ai pezzi grossi del DNC.