sabato 17 maggio 2008

Tre eventi più importanti dell'endorsement di Edwards

di Mark Halperin (TIME)

Nonostante la grande copertura mediatica che ha guadagnato, l'endorsement di John Edwarda a Barack Obama non è stata la cosa politicamente più importante accaduta mercoledì. L'endorsement di Edwards avrebbe potuto avere un grosso impatto se fosse accaduto prima, visto che adesso è solo una conseguenza dello stato attuale della corsa alla nomination.
La determinazione di Hillary Clinton di continuare a lottare (probabilmente fino alle primarie conclusive, la prima settimana di giugno) ha catturato moltissima attenzione da parte dei media. Prima che guadagnasse l'appoggio di Edwards, Obama era già il favorito, e maggior ragione lo è dopo. I big del partito stanno serrando i ranghi attorno a Obama già da prima di mercoledì, e così sarà in futuro. I big che avevano ancora delle perplessità sull'eleggibilità di Obama avevano già cominciato a farsi convincre, e così sarà in futuro.
Cosa ha portato alla decisione di Edwards non è ancora del tutto chiaro, ma sia lui che Obama erano consapevoli che l'apparizione a sorpresa in Michigan avrebbe offuscato il trionfo della Clinton in West Virginia e il suo giro di interviste televisive con cui intendeva capitalizzare la vittoria.
Ci sono diverse speculazioni su cosa Edwards ha chiesto in cambio del suo appoggio, come ad esempio un ticket Obama-Edwards. Ma per ora è solo un gioco delle parti.

Allora cosa è successo di più importante?
Per prima cosa, il DNC ha concluso un accordo con la Clinton e Obama per iniziare a raccogliere assieme fondi per le elezioni di novembre. L'importanza simbolica e sostanziale di questo patto suggerisce che sia il parito che i media vogliono superare la possibile implosione della lotta tra i due candidati che avrebbe potuto spaccare il partito. E serve anche a ricordare che la raccolta fondi via Interner di Obama gli darà un importante vantaggio su McCain.

D'altro canto, i sostenitori di Obama devono sperare che il tentativo di cancellare i risultati della West Virginia dai notiziari non voglia dire nascondere la testa sotto la sabbia riguardo le vere implicazioni della sconfitta. Obama sta aggressivamente sminuendo l'importanza della West Virginia nelle presidenziali. Ma è chiaro che la questione della razza e delle classi sociali avrà un ruolo - forse decisivo - nella lotta contro McCain, e l'apparente mancanza di strategia in West Virginia suggerisce che Obama non ha ancora risolto i suoi problemi con la classe operaia bianca. E non è chiaro quanto Edwards possa aiutarlo.

Infine, i Repubblicani hanno perso per la terza volta di fila un'elezione suppletiva per un seggio alla Camera per cui erano fortemente favoriti. La sconfitta di martedì, in Mississippi, ha particolarmente scosso i leader del Gop a Washington e in tutto il paese. Sono ottime notizie per Obama, che affronterà i Repubblicani a corto di soldi e con un'immagine che non era così appannata dai tempi del Watergate.

Ma se Obama può gioire di questa disfatta, paradossalmente può farlo anche McCain. Un Gop così disorientato e senza leadership, darà a McCain carta bianca per condurre la campagna elettorale che vuole - quella con maggiori possibilità di vittoria. Con i sondaggi che danno a McCain una popolarità molto più alta di quella del suo partito, i conservatori probabilmente non protesteranno per una campagna moderata che eviterà questioni sociali. Molti Repubblicani candidati al Congresso sposeranno la strategia di McCain e faranno campagna elettorale per lui. La disperazione potrà permettere a McCain di unire il partito più facilmente del previsto. E alla lunga questo conterà molto di più del teatrale endorsement di John Edwards.

Copyright 2008 Time Inc. All rights reserved

Bush da Israele attacca Obama. E i Democratici fanno fronte comune

E' piuttosto insolito che un Presidente in carica entri a gamba tesa nella campagna elettorale per scegliere il suo successore. Se poi a farlo è il presidente con uno degli indici di gradimento più bassi della storia americana, il tutto può risolversi in un boomerang.
Sicuramente, è riuscito a riunire i Democratici e a mettere in una posizione difficile John McCain, diviso tra l'appartenenza al partito e la necessità di distanziarsi da Bush.
In visita al Parlamento di Israele, in occasione del 60° anniversario dalla fondazione dello stato, George W. Bush ha parlato (senza fare nomi) in termini molto negativi della proposta di trattare con i cosiddetti "stati canaglia", Iran in testa
"Alcuni credono che dovremmo negoziare con terroristi ed estremisti, come se qualche ingegnosa argomentazione possa convincerli che hanno sbagliato per utto questo tempo. Abbiamo già vissuto queste disillusioni. Quando i carri armati nazisti entrarono in Polonia nel 1939 un senatore americano disse 'se solo avessi potuto parlare con Hitler, tutto questo si sarebbe potuto evitare'. Abbiamo l'obbligo di dire che questa è una falsa concliazione, che è stata ripetutamente scriditata dalla Storia".

In particolare la citazione dei nazisti ha indispettito i Democratici. Howard Dean ha subito replicato, chiedendo a John McCain di prendere le distanze dal Presidente. Nancy Pelosi ha dichiarato che Bush è andato "al di là della dignità del suo ruolo", e il portavoce dei Democratici alla Camera Emanuel si è chesto "Il Presidente non si vergogna?.
E mentre la portavoce di Bush Dana Perino si affrettava a specificare che il Presidente non aveva intenzione di riferirsi specificamente a Obama, McCain ha espresso il suo apprezzamento per il discorso "Il Presidente ha ragione, in passato ci sono stati dei tentativi di conciliazione, come quello di Neville Chamberlain [il Primo Ministro inglese che provò, con il Trattato di Monaco, a neutralizzare Hitler e Mussolini tramite concessioni]. Non credo sia un caso se i nostri ostaggi in Iran sono tornati in patria quando era Presidente Reagan [si riferisce al sequestro, nel 1979, di alcuni dipendenti americani della filiale delle industrie del milardario Ross Perot, all'inizio della Rivoluzione Iraniana. Iniziata sotto l'amministrazione Carter, la crisi si risolse con un'azione di forza poco dopo l'elezione di Reagan. Ken Follett ha raccontato la vicenda nel romanzo "Sulle ali delle aquile"], che non era certo tipo da sedersi a negoziare con i terroristi. Penso che Barack Obama debba spiegarci perchè vuole sedersi allo stesso tavolo con il capo di uno stato che è sponsor del terrorismo, che è responsabile dell'uccisione di tanti americani, che vuole spazzare via Israele, che nega l'Olocausto".

Obama ha replicato con un comunicato "E' il massimo dell'iporisia da parte di John McCain parlare di dialogo e concordia la mattina e poi fare propri gli attacchi di George Bush il pomeriggio. Invece di portare il cambiamento, McCain vuole proseguire l'irresponsabile e fallimentare politica di Bush, rifiutando la diplomazia diretta portata avanti da molti presidenti, da Kennedy a Reagan." E ieri, parlando in South Dakota, Obama ha attaccato McCain accusandolo di voler dividere la nazione seminando paura, con l'intenzione di proseguire la "politica fallimentare" degli ultimi sette anni.

Qualche ora dopo è arrivata anche la dichiarazione di Hillary Clinton, che ha anche attaccato McCain. "Il paragone del presidente Bush tra i Democratici e i conciliatori nazisti è offensivo e oltraggioso, specialmente alla luce del fallimento della sua politica estera. Questo è il tipo di frase che non deve avere posto in nessuna dichiarazione presidenziale. McCain non ha proposto nessuna nuova stategia, e non ha neanche riconosciuto le gravi difficoltà che la politica di Bush, ora difesa da McCain, ha incontrato e incontrerà."

venerdì 16 maggio 2008

I risultati delle elezioni suppletive spaventano i Repubblicani

Il sogno dei Repubblicani, quello cioè di conquistare una facile vittoria alle prossime elezioni di novembre (non solo per quanto riguarda la Casa Bianca, ma anche per il Congresso, di cui si rinnova la maggior parte dei seggi) è stata messa seriamente in dubbio dai risultati disastrosi delle elezioni suppletive che si sono tenute nelle ultime settimane in stati teoricamente favorevoli al Gop.
E dire che i Repubblicani si erano impegnati a fondo nella campagna elettorale, cercando di collegare i candidati Democratici ad Obama, ed accusandoli quindi di essere troppo radicali. Non è servito, e anzi secondo molti è stata una strategia suicida.La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la vittoria del Democratico Travis Childers in Mississipi, che ha permesso al partito dell'asinello di conquistare un seggio che era nelle mani del Gop ininterrottamente dal 1994. In precedenza, i Democratici avevano conquistato un seggio dell'Illinois e uno della Louisiana - entrambi precedentemente occupati da Repubblicani - con candidati sostenuti da Barack Obama.
In particolare Childers era stato bersaglio di una serie attacchi mediatici per la sua vicinanza con Obama, e contro di lui erano state usate sia le frasi del Reverendo Wright sua quelle dello stesso Obama sulla provincia americana, una strategia che sembrava perfetta per uno stato come il Mississippi. Inoltre addirittura il Vicepresidente Dick Cheney aveva fatto campagna per il candidato Repubblicano Greg Davis. Le elezioni hanno però visto Childers prevalere per 54 a 46 su Davis. Marty Wiseman, docente di scienza politica all'Università del Mississippi, ha dichiarato che "se i Democratici sono riusciti a conquistare seggi sempre saldamente in mano al Gop, gli strateghi Repubblicani dovrebbero essere terrorizzati. Se pensiamo ai seggi di Camera e Senato che saranno in palio, possiamo dire che a novembre si giocherà una partita ancora più grande della Presidenza".
Tom Davis, rappresentante Repubblicano della Virginia, ha detto "L'atmosfera è la peggiore dai tempi del Watergate, e molto peggiore dell'autunno 2006 quando perdemmo 30 seggi nelle elezioni di medio-termine" e in un memorandum inviato al partito ha spiegato che occorre spezzare il legame tra il partito e il presidente Bush, con cui il Gop viene tuttora identificato.

E come è normale in questi casi, all'interno del partito c'è molta maretta. Già alcune settimane fa l'ex speaker alla Camera Newt Gingrich (nella foto), una delle vecchie glorie del partito, aveva messo in guardia i colleghi sui due punti critici dei Repubblicani: la mancanza di soldi e la mancanza di messaggio. Il suo grido d'allarme era stato classificato come il tentativo di tornare alla ribalta dopo anni di ombra.
Poi il presidente del comitato dei legislatori Repubblicani al Congresso (NRCC) Tom Cole ha ribadito l'allarme, spiegando inoltre che nè il partito, nè il comitato potranno supplire ad una eventuale mancanza di fondi da parte dei candidati, e dopo la disfatta in Mississippi ha ammesso che il Gop affronta "una mancanza di fiducia da parte degli Americani" e che ha una carenza di messaggi. Ma proprio i risultati elettorali potrebbero essere fatali a Cole, visto che all'interno del NRCC in molti vorrebbero rimpiazzarlo col suo predecessore Tom Davis, e stabilire nuove linee guida per la campagna elettorale, che dovrebbe essere basata sull'affrancamento da Bush piuttosto che dagli attacchi ai Democratici.

Hillary: uno sbaglio preferire McCain a Obama

E' stata una Hillary Clinton risoluta ma anche molto più "morbida" del solito quella apparsa nelle interviste di mercoledì, all'indomani della vittoria in West Virginia.
All'approssimarsi della fine delle primarie, e con un risultato praticamente acquisito, la senatrice ha annunciato di voler rimanere in gara, ma non ha più usato quei toni aspri che tante critiche le avevano tirato addosso."Chi ha votato per me e chi ha votato per Barack ha molto più in comune l'uno con l'altro di quanto hanno con John McCain" ha spiegato alla CNN "e sarebbe un errore terrible preferire McCain a Obama. Mi impegnerò al massimo per il nominato Democratico, chiunque sia. Ovviamente, spero di poter essere io, ma farò comunque tutto quanto in mio possesso per far capire a chi mi ha sostenuto che sarebbe sbagliato non votare per il senatore Obama".
La Clinton si è anche scusata per alcune sue frasi riguardanti la popolarità di Obama tra l'elettorato bianco, frasi che erano state lette come una discriminazione neanche troppo nascosta di tutti gli altri elettori "Ha ragione il mio amico Charlie Rangel [che la aveva pesantemente criticata in settimana] quando afferma che questa è la cosa più stupida che io abbia mai detto".
A proposito del suo possibile ritiro "Non credo di ritirarmi. Nella vita non puoi sempre vincere, ma devi fare del tuo meglio. Non esci dal campo finchè non suona la sirena. Non si sa mai, puoi sempre fare un tiro da tre punti alla fine".
Hillary ha poi difeso Obama dagli attacchi di McCain riguardo una sua possibile vicinanza ai terroristi palestinesi. "E' un'esagerazione dire che i terroristi sarebbero felici se Obama venisse eletto, non credo che nessuno possa prendere seriamente queste frasi. Credo che Barack Obama condurrebbe una politica di forte vicinanza ad Israele, come gli Usa fanno da 60 anni".
Ai microfoni di FOXNews ha invece parlato di un possibile ticket con Obama "Non ci penso, visto che sono concentrata unicamente sulla nomination, al momento".

Alla NBC, si è poi detta sicura che non si andrà alla convention senza un nominato "Ne sapremo di più il 4 giugno, e in questi giorni dobbiamo avere una pazienza fuori dal comune. Ma sono fiduciosa che dopo l'ultima primaria avremo un'idea chiara di quello che succederà".
La Clinton ha mostrato il suo disappunto solo quando si è parlato del sostegno dato ad Obama dalla NARAL (la lega nazionale per il diritto all'aborto): "Sono ovviamente delusa, dopo tutto il lavoro che ho fatto in tutti questi anni. Sono orgogliosa di avere il sostegno di molti altri gruppi che condividono il mio punto di vista e il mio impegno di questi argomenti".

giovedì 15 maggio 2008

Breaking news: Edwards appoggia Obama



A sorpresa John Edwards appare al fianco di Barack Obama in Michigan ed esprime il suo endorsement
"La ragione per cui oggi sono qui è che gli Americani hanno fatto la loro scelta"

A un passo dalla nomination

Obama merita la nomination. E' tutto da vedere se meriterà anche la presidenza
da The Economist

Nei cartoni animati c'è sempre un momento in cui un personaggio sfortunato, dopo aver saltato un precipizio, non è ancora consapevole del fatto di essere sospeso nel vuoto, ruota le gambe all'impazzata finchè non capisce in che situazione si trova, e finchè non interviene la legge di gravità facendolo precipitare. Hillary Clinton somiglia un po' a quel personaggio, questa settimana.
Dopo la pesante sconfitta in North Carolina e la vittoria di misura in Indiana, uno stato che avrebbe dovuto conquistare trionfalmente per poter andare avanti, la campagna di Hillary Clinton è sicuramente vicina alla conclusione.
Lei ha detto di voler andare avanti fino alla convention. E' un suo diritto, ma è difficile capire cosa lei, il suo partito o il paese potranno guadagnare da questa lotta.

La matematica parla chiaro. . Mancano solo 5 stati alla fine, e la Clinton ha buone chance in Kentucky, ma grazie al sistema proporzionale tutti gli stati divideranno i delegati quasi equamente. Mrs. Clinton dovrebbe conquistare più del 70% dei restanti superdelegati - un'impresa improba visto che non ha la maggioranza nel voto popolare. Anche se dovesse riuscire a far contare i voti di Florida e Michigan (e sarebbe ingiusto, perchè nel primo stato nessuno ha fatto campagna elettorale e nel secondo il nome di Obama non era presente sulla scheda) sarebbe sempre dietro nel conto dei delegati ma potrebbe prevalere nel voto popolare.
Se la Clinton si ritirerà la prossima settimana, la sua reputazione di lottatrice - e di una personalità ormai distinta dal marito - ne uscirà rafforzata. Se invece andrà avanti, portando il partito ad una diatriba legale, darà l'idea di ritenere il suo rivale Obama indegno della nomination, o perchè perderebbe sicuramente a novembre, o perchè sarebbe un presidente inadatto.

Nessuna delle due giustificazioni regge. Questo giornale non ha mai apprezzato l'Obamamania, abbiamo sempre chiesto di saperne di più sulle posizioni del giovane senatore e siamo impalliditi alla retorica anticapitalistica che ha portato in campagna elettorale; ci preoccupa inoltre la sua strategia per il ritiro dall'Iraq. Ma Obama ha superato alla grande tutti gli ostacoli che gli si sono presentati di fronte.
La Clinton sembra più popolare tra la classe operaia e il ceto medio, e questo mette Obama in una posizione di svantaggio nei confronti di McCain. Ma le questioni sull'appeal verso gli elettori bianchi, così come quelle riguardo la disposizione a votare un presidente nero, sono spesso esagerate rispetto al reale peso nelle elezioni generali.
I problemi di Obama con gli elettori bianchi non riguarda il colore della pelle ma la classe sociale: appare troppo spesso come un elitario, in modo simile a John Kerry. Ma Obama, figlio di una madre single di classe sociale non agiata, può facilmente modificare la propria immagine.
Inoltre Obama attrae elettori in un modo che la Clinton non si sogna neppure. Per ogni bigotto bianco che vota Clinton a causa del colore di Obama, c'è un un indipendente bianco - probabilmente giovane - che corre a sostenere il senatore. I sondaggi mostrano che i giovani, sia bianchi che neri, preferiscono Obama. Contro la Clinton, McCain avrebbe il monopolio degli indipendenti, contro Obama dovrà dividerli a metà. Obama ha raccolto fondi da 1 milione e mezzo di persone, più di quanto chiunque abbia mai fatto. Questo metterà lui e il partito in una posizione di vantaggio a novembre.

La cosa buona delle primarie è che permette di vedere come si comporta un candidato quando è sotto pressione e per misurare le sue caratteristiche presidenziali. La Clinton, ad esempio, si è contraddistinta per la sua tenacia nel rimanere in corsa, McCain per aver rifiutato compromessi su Iraq e trattati commerciali. Obama si è mostrato un po' irascibile, ma ha affrontato molto bene le pressioni. Nelle scorse settimane ha dovuto fare i conti con le dichiarazioni del suo ex pastore Jeremiah Wright, ma anche con gli attacchi della Clinton. Il suo rifiuto di supportare la balzana proposta di una sospensione estiva delle tasse sul carburante è stato encomiabile.
C'è un motivo se Obama è ancora lì. Più di qualsiasi altro candidato quest'anno, ha articolato un'idea di America più nobile. In questo la sua storia personale lo aiuta molto.
Ci sono certamente molti punti deboli, sui cui McCain insisterà molto più di quanto abbia fatto la Clinton, ma la prospettiva di una presidenza Obama è migliore di altre.
Per tutte queste ragioni, Obama a nostro avviso merita la nomination, e per la Clinton è giunto il momento di mettere il considerevole peso del suo nome sulle spalle della migliore speranza del partito.

Copyright © The Economist Newspaper Limited 2008. All rights reserved

mercoledì 14 maggio 2008

Sondaggi: i Democratici sempre sopra McCain

L'immagine “http://markhalperin.files.wordpress.com/2008/05/abcwashpostpoll.jpg?w=360&h=235” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
L'ultimo sondaggio in ordine di tempo, targato ABC News/ Washington Post, mostra una situazione decisamente favorevole ai Democratici.
Secondo questa rilevazione, condotta tra l'8 e l'11 maggio fra 1.122 adulti scelti in modo da rispecchiare in proporzione il campione nazionale, Obama ha un vantaggio maggiore su McCain rispetto alla Clinton, ma per quest'ultima non ci sono pressanti richieste di ritiro.
In un testa a testa a novembre, Obama supererebbe McCain per 51% a 44%, mentre tra la Clinton e McCain il distacco sarebbe leggermente inferiore, 49% a 46%.
Il 64% dei Democratici intervistati, compreso il 42% di sostenitori di Obama, sostengono che la Clinton debba ancora rimanere in corsa. Il 26% dei sostenitori della Clinton dicono che sceglierebbero McCain invece di Obama, il 22% dei sostenitori di Obama sceglierebbe McCain invece della Clinton.
Il 39% dei Democratici (tra cui il 59% di afro-americani) vorrebbe che la Clinton venisse scelta come candidata vicepresidente.
Il 39% degli intervistati ha detto che non vorrebbe un presidente dell'età di McCain, il 16% sostiene di non volere una donna presidente, il 12% dice di non volere un presidente afro-americano.
Il 60% degli intervistati, tra cui il 73% di Democratici, sostiene che Obama ha fatto abbastanza per distanziarsi da Wright.

Tra i Democratici, rispetto ad un analogo sondaggio condotto a marzo, Obama ha superato la Clinton come "leader più forte".
Fra le caratteristiche richieste dagli elettori, Obama eccelle per capacità di portare il cambiamento, per temperamento, per comprensione dei problemi quotidiani e per visione del futuro. McCain eccelle per leadership, esperienza e conoscenza del mondo degli affari.
La popolarità di McCain è però pesantemente gravata dall'eredità di George W. Bush, infatti 8 americani su 10 ritengono che il paese stia andando nella direzione sbagliata, il risultato più negativo dal 1992.
Sui temi della campagna elettorale, Obama è giudicato più affidabile di McCain su Iraq, etica, economia, immigrazione, piano sanitario e prezzo del carburante. McCain è ritenuto più affidabile solo sulla guerra al terrorismo.

Qui i risultati completi del sondaggio.

Risultati 13 maggio: West Virginia

Come previsto Hillary Clinton vince in West Virginia anche se totalizza un po' meno di quanto le assegnavano gli ultimi sondaggi (e della previsione di Bill Clinton, che puntava all'80%). La Clinton guadagna però solo 12 delegati in più di Obama, e quindi la vittoria è significativa dal punto di vista simbolico ma quasi ininfluente da quello pratico, visto che nei tre giorni precedenti il voto Obama ha guadagnato l'appoggio di più di 12 superdelegati.

Democratici


West Virginia

Hillary Clinton: 66,94 (20 delegati)
Barack Obama: 25,85% (8 delegati)



Tra i Repubblicani, John McCain conquista i 9 delegati rimanenti della West Virginia

martedì 13 maggio 2008

McCain prepara il ritratto di Obama

Scommettendo sulla nominationa Obama, già tre mesi fa John McCain ha deciso di iniziare a tracciare un ritratto non certo benevolo del suo futuro rivale alle presidenziali, spronato in questo dai suoi consiglieri, che erano certi non solo che Obama avrebbe superato la Clinton, ma anche che sarebbe stato necessario attaccare l'immagine del senatore dell'Illinois mentre era ancora impegnato sul fronte interno delle primarie.
Definire l'immagine del proprio avversario è sempre un punto chiave in una campagna elettorale, e bisogna dire che in questo i Repubblicani hanno dimostrato spesso di avere una marcia in più. Già dopo le primarie del Potomac il 12 febbraio, McCain lanciò un primo attacco, molto circostanziato, a Obama, parlando di promesse sfuggenti e di immagine messianica "Incoraggiare il paese solo con la retorica e non con le idee derivate dalla forza della libertà, non è una promessa di speranza" e in un'altra occasione "Non cerco la presidenza perchè con la presunzione di essere stato prescelto dalla storia per salvare il paese".
La linea di attacco è quella di dipingere Obama come inesperto, ambizioso ed elitario, sostenuto dai media ma privo del giudizio necessario per essere il comandante in capo, una linea d'attacco che durerà fino alle presidenziali.
"Spiegheremo che Barack Obama è un meraviglioso giovane oratore che diffonde idee vecchie e screditate, incluso il più grande aumento di tasse dai tempi della candidatura di Walter Mondale" spiega Steve Schmidt, consigliere di McCain.

Ma se il protrarsi delle primarie in casa Democratica indebolisce i due oppositori di McCain, ha anche un aspetto positivo: tutta l'attenzione dei media è ancora sulla Clinton e su Obama, e le critiche dei Repubblicani non hanno ancora avuto una adeguata risonanza.
E' facile immaginare che l'inesperienza di Obama verrà messa a confronto con il curriculum di McCain, senatore senior ed eroe di guerra, e si rifletterà anche nel fatto che, nella sua breve permanenza in Senato, Obama non ha avuto modo di farsi notare come legislatore.
Anzi, le azioni di Obama in Senato dalla sua elezione ad oggi saranno passate al setaccio alla ricerca di altre vulnerabilità. McCain ha già iniziato parlando del voto contrario di Obama alla nomina del giudice John Roberts come capo della Corte Suprema "A Obama piace parlare della sua capacità di fare accordi bipartisan pur di realizzare i progetti. Ma quanto il Giudice Roberts è stato nominato, dov'era questo ragazzo che vuole realizzare i progetti?".

Entrambi i candidati hanno più volte dichiarato di voler condurre una campagna elettorale rispettosa dell'avversario, ma questo sinora non li ha frenati dal tirare colpi proibiti. La scorsa settimana Obama ha detto che McCain è "disorientato", e la settimana precedente McCain aveva detto che il problema di Obama non è tanto l'inesperienza ma "l'inesperienza connessa alla mancanza di capacità di giudizio, che si esprime nel volersi sedere allo stesso tavolo con chi vuole distruggere lo stato di Israele, o nel voler aumentare le tasse".
"Entrambi i candidati si proclamano agenti del cambiamento" dice Charles Black, statega di McCain "ma indovinate chi ha le credenziali maggiori? E' McCain, non Obama".
McCain ha una grave vulnerabilità su cui Obama farà leva, la guerra in Iraq, ma ha anche avuto un'alleata involontaria: Hillary Clinton.
Molte delle frecce nell'arco del Repubblicano sono già state usate dalla Clinton, anche se con risultati non eccezionali.
"Solo perchè alla Clinton è andata male non significa che non funzioneranno con McCain" spiega Amy Walter, editor della rivista politica The Hotline "stiamo parlando di due tipi diversi di pubblico".

Verso il voto: le primarie in West Virginia

L'immagine “http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/22/Flag_of_West_Virginia.svg/125px-Flag_of_West_Virginia.svg.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
La Virginia Occidentale è l'unico stato degli Usa formatosi a causa della Guerra di Secessione, ed è un territorio diviso tra l'appartenenza geografica al "sud" e un'affinità culturale con la zona del Potomac e la Pennsylvania, con cui confina.
Con 1.815.354 abitanti è il 38° stato più popoloso degli Usa; la capitale è Charleston, che conta 53.421 abitanti ed è anche la città più popolosa.
Fino alla guerra di Secessione, la West Virginia era parte integrante della Virginia. Il territorio occidentale venne esplorato nel 1671 da uan spedizione inviata dal governo inglese, che però si fermò prima di arrivare ai confini nord. Per ricongiungersi alla Pennsylvania e al Potomac, che intanto venivano colonizzati, bisognò aspettare il 1725.
Il territorio montuoso della zona occidentale non favoriva gli insediamenti degli europei, e diventò invece rifugio per le tribù Shawnee, che si resero protagonisti di cruenti scontri con i coloni anche durante e dopo la Rivoluzione Americana.
Nel 1861 l'insoddisfazione degli abitanti e dei possidenti della zona ovest scaturì nella richiesta di secessione. La Guerra di Secessione diede l'occasione per formare un nuovo stato, basato sul credo antischiavista (le tre contee della West Virginia avevano votato per Lincoln, al contrario del resto dello stato), permettendo di aggirare la Costituzione, che vietava di modificare i confini di uno stato senza il consenso dello stato in questione. Il nuovo stato, che inizialmente si chiamò Kanawha, formò un governo riformatore pro-Unione. Dopo numerose dispute legali (che si protrassero per anni anche dopo il riconoscimento formale) nel 1862 Lincoln autorizzò la formazione della West Virginia, che l'anno successivo fu il 35° stato ad entrare nell'Unione.
L'economia della West Virginia, specialmente negli ultimi anni, è la più precaria degli Usa. Il reddito pro capite è il terzultimo in Usa, e il reddito medio delle famiglie è il più basso in assoluto, la crescita economica dello stato è la seconda più bassa. La più grande risorsa dello stato è il carbone, anche se ormai molte miniere sono state chiuse. La topografia, composta essenzialmente da montagne e vallate, rende difficile l'agricoltura, che infatti si concentra solo in poche zone.
La popolazione è composta per il 96% da bianchi e per il 3,50% da neri. La West Virginia è uno stato conservatore che a livello locale vede una predominanza di Democratici (gli elettori iscritti nelle liste dei Dems sono il doppio dei Repubblicani). Per le presidenziali, tuttavia, è uno swing state: nel 1988 fu l'unico stato del Sud a votare per Dukakis, ma sia nel 2000 che nel 2004 Bush ha vinto qui con ampio margine.

Per i Democratici, la West Virginia mette in palio 39 delegati, di cui 28 elettivi ed 11 superdelegati, con il sistema della primaria aperta. Dei 28 delegati elettivi, 18 vengono assegnati proporzionalmente sulla base dei risultati nelle tre contee (lgnuna delle quali ha 6 delegati) mentre gli altri 10 vengono assegnati proporzionalmente sulla base del risultato totale.
La convention si terrà il 13 e il 14 giugno. Degli 11 superdelegati, 3 hanno dichiarato il loro appoggio alla Clinton e 2 a Obama.
I sondaggi pronosticano una vittoria schiacciante di Hillary Clinton, che American research group dà addirittura al 66% contro il 23% di Obama. Più cauto ma comunque netto Rasmussen, che vede la Clinton al 56% e Obama al 27%.

Per i Repubblicani la West Virginia mette in palio 30 delegati, di cui 27 elettivi. 18 delegati elettivi sono già stati assegnati nei caucus del 5 febbraio, che fungevano anche da convention (ha vinto Huckabee), mentre gli altri 9 verranno assegnati tramite le primarie di oggi (ogni contea assegna 3 delegati).

I seggi aprono alle 6.30 del mattino (le 12.30 in Italia) e chiudono alle 7.30 del pomeriggio (l'1 e 30 da noi).

lunedì 12 maggio 2008

Bob Barr si candida alle presidenziali

L'immagine “http://i.cdn.turner.com/cnn/2008/images/05/12/art.barr.gi.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
La notizia era nell'aria ma oggi arriva la conferma ufficiale dal diretto interessato: l'ex deputato Repubblicano Robert L. "Bob" Barr ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali di novembre con il Libertarian Party.
Pupillo dei conservatori - fu lui a condurre al Congresso la richiesta di impechment contro Bill Clinton - ha detto di voler dare agli elettori una possibilità di scelta che vada oltre i due principali partiti.
59 anni, Rappresentante per la Georgia dal 1995 al 2003, Barr lasciò il partito Repubblicano nel 2006 in rotta con l'amministrazione Bush, in particolar modo per il supporto del Presidente al Patriot Act.
La sua candidatura era particolarmente temuta dal Gop - che ha tentato vie diplomatiche per dissuaderlo - in quanto potrebbe portare via ai Repubblicani una decisiva fetta dell'elettorato conservatore, per nulla entusiasta di John McCain. In una elezione che vedrà probabilmente i due partiti separati da un piccolo margine, anche pochi voti negli stati chiave potrebbero decidere la partita, e Barr potrebbe diventare per McCain quello che Ralph Nader fu nel 2000 per Al Gore.

Solo Hillary può scalare le montagne della West Virginia

Con il 97% della popolazione composto da bianchi, una popolazione composta in maggioranza da classe operaie e rurali, con grossi conflitti sociali irrisolti, un'età media molto alta e una tendenza conservatrice diffusa anche tra i Democratici, la West Virginia sembra racchiudere in sè tutti i presupposti per un trionfo della Clinton, che infatti secondo gli ultimi sondaggi ha un vantaggio abissale di oltre 40 punti: 66 a 23.
I numeri sono impressionati, ma se applicati ai soli 28 delegati elettivi della West Virginia significano che la Clinton potrebbe avere dai 12 ai 15 delegati in più rispetto a Obama, troppo poco per spostare gli equilibri.
Da questo punto di vista Obama può dormire sonni tranquilli, ma ci sono altri aspetti irrisolti che la West Virginia potrebbe aggravare, come ad esempio il suo appeal verso il ceto medio, gli anziani e le classi operaie in vista di novembre.

E' proprio in questi stati che ci sono le maggiori perplessità sulle possibilità di successo del senatore dell'Illinois, sia per il suo retaggio razziale e culturale, sia per questioni riguardante il patriottismo o l'eccessivo liberismo. E è proprio in questi stati che, anche tra i Democratici, continuano ad attecchire le critiche di vecchia data ad Obama, tra cui il sospetto che sia musulmano.
Anche se la West Virginia è uno stato tradizionalmente Democratico, le tensioni razziali non hanno partito, e sono ancora molto diffuse, in un modo che rende difficile prevedere il risultato di novembre. Gruppi conservatori legati alla religione e sostenitori del possesso libero di armi da fuoco sono riusciti nell'impresa di portare George Bush a vincere nel 2000 e nella misura di 3 a 1 nel 2004.

Oltre a questo, ci sono altri problemi che la politica non ha saputo risolvere, in particolar modo il prezzo del carburante che qui tocca cifre record (4$ al gallone) in corrispondenza con i salari tra i più bassi degli Usa.
Dal 1916, nessun Presidente Democratico è stato eletto senza aver vinto in West Virginia, e molti Democratici vorrebbero che Obama "guardasse negli occhi la gente comune rispondendo alle loro perplessità, anche a quelle a cui ha già risposto, come la sua fede religiosa" dice Bob Pasley, Rappresentante di Wayne County.
I più anziani ricordano ancora la visita fatta da John F. Kennedy nel 1960. In molti erano scettici per la sua fede cattolica, per la sua giovane età e per la sua reputazione troppo liberal. Kennedy girò tutto lo stato e "Fu la cosa più grande mai accaduta qui, da molto molto tempo" ricorda Pasley.

Esponenti di entrambi i partiti concordano nel dire che il vantaggio della Clinton è dovuto sia all'appeal verso la classe operaia, sia alla nostalgia per suo marito Bill, che infatti nell'ultima settimana è apparso più spesso di Hillary in comizi e incontri.
Sono pochi gli elementi che potrebbero permettere a Obama di contenere i danni: nonostante tutto, la Clinton non ha fatto faville tra i superdelegati, tanto che Obama ha ottenuto il pesante appoggio del Senatore Jay Rockefeller IV. Inoltre, per la prima volta, gli elettori indipendenti potranno votare alle primarie Democratiche.

Mike Dukakis: Obama ha bisogno di slancio


Michael Dukakis, il candidato Democratico sconfitto da George H. Bush nelle presidenziali del 1988 ha rilasciato per la prima volta delle dichiarazioni sulla campagna del 2008 in un'intervista al New York Observer. Effettivamente Dukakis ha voce in capitolo in queste elezioni: le presidenziali di novembre secondo molti rischiano di tramutarsi in un'inattesa disfatta come quella del 1988, quando il ticket Democratico partì con un enorme vantaggio nei sondaggi e finì per prendere 7 milioni di voti in meno dei Repubblicani a causa soprattutto dell'agguerrita campagna stampa che trasformò il timido e introverso Dukakis in una caricatura.
Finora Dukakis si è mantenuto neutrale, e non ha neanche detto per chi ha votato durante le primarie del 5 febbraio nel "suo" Massachusetts. Ora però si espone dicendo che, una volta assegnata la nomination, occorre che entrambi i candidati e i loro sostenitori si impegnino per mettere in piedi un massiccio movimento "dal basso" per la campagna elettorale del prossimo autunno.

Secondo Dukakis la nomination si risolverà "relativamente in poco tempo" dopo le primarie del 3 giugno in South Dakota e Montana, con gli ultimi superdelegati indecisi che si esprimeranno.
Parlando del peso del computo dei delegati e del voto popolare sulla decisione dei superdelegati, Dukakis è piuttosto netto "C'è stata una competizione, basta guardare i numeri".
Anche sul caso di Michigan e Florida, l'ex governatore del Massachusetts ha le idee chiare "Florida e Michigan sono fuori gioco. Voglio dire, per quanto tempo dobbiamo cambiare posizione? Non c'è stata competizione in Florida e Michigan, punto. Tutto quello che si può fare è dividere al 50% le due delegazioni tra i candidati. Ovviamente la Clinton non ne sarebbe felice".
Perciò, secondo lo scenario che dipinge, Dukakis non pensa che la Clinton possa realisticamente ottenere la nomination.
"A questo punto mi sembra estrememente probabile che sarà lui ad ottenere la nomination. Ma non si può mai dire, le cose buffe capitano quando meno te le aspetti"
Chissà se Dukakis classifica come "cosa buffa" anche ciò che gli capitò nel 1988 quando era in corsa per la Casa Bianca. Nel 1988 George H. Bush e i suoi fidi collaboratori Lee Atwater e Roger Ailes ridussero Dukakis ad una macchietta di liberal senza spina dorsale, trasformando la leadership Democratica di 17 punti in una sconfitta con 8 punti di distacco alle elezioni.
Questo esempio è stato citato innumerevoli volte negli ultimi mesi dai sostenitori della Clinton, che ipotizzano che Obama sarà sottoposto allo stesso trattamento finendo per sembrare la caricatura di uno snob elitario ed estremista.

Dukakis non è d'accordo e non sembra particolarmente allarmato dalle armi (come il Rev. Wright) in mano ai Repubblicani. La sua teoria è che Obama non avrà nessun problema che non avrebbe la Clinton al suo posto.
"Tutti sanno cosa faranno i Repubblicani, non importa chi sarà il candidato. Bill Clinton nel 1992 fu sottoposto ad un trattamento anche peggiore di quello che subii io. Nessuno se lo ricorda, per due ragioni. In primo luogo, lui aveva imparato la lezione dalla mia sconfitta, infatti aveva un gruppo chiamato "Defense Department" che aveva l'unico compito di fronteggiare questi attacchi. In secondo luogo, l'economia era a picco. E così anche se Bush lo attaccò come aveva attaccato me - o anche peggio - quella volta non funzionò".
Un clima simile si registra adesso "In questo caso c'è l'economia ma anche la guerra. O la guerra connessa all'economia, o viceversa. Ma devi essere pronto per affrontarlo".
Lo scorso autunno, Dukakis invitò il partito e i candidati a pensare ad un modo più efficace per avvicinarsi agli elettori, ad un modello di radicamento nel territorio che è stato messo in pratica da Obama, come dimostrano le sue performance nei "caucus state" che sono stati decisivi nella leadership tra i delegati elettivi.
"Dal punto di vista della campagna elettorale convenzionale, la Clinton ha fatto un lavoro dannatamente buono. Ma allora perchè non è in testa? Perchè quanto meno nei caucus states, Obama e i suoi hanno capito meglio cosa bisognava fare per vincere".

Tuttavia Obama ha bisogno di uno slancio: deve migliorare la sua organizzazione "Obama non è andato bene in tutti i distretti come invece mi sarei aspettato. In Massachusetts, ad esempio, mancava una minima organizzazione a livello distrettuale. Mia moglie Kitty ha contribuito alla campagna di Obama sin dalla scorsa estate. E' una fanatica di Obama. E però nessuno l'ha mai invitata a partecipare sul campo nei distretti del nostro stato. Il ragazzo ha qualcosa come 1.200.000 finanziatori, ognuno dei quali, a mio giudizio, avrebbe dovuto essere coinvolto già da tempo in operazioni in tutti i 200.000 distretti dei 50 stati. Non so perchè non sia successo".
Il tipo di programma che ha in mente Dukakis necessita di 5 0 6 mesi per entrare a regime, perciò bisognerebbe cominciare subito per potercela fare entro novembre.
Dukakis è particolarmente critico verso la campagna elettorale della Clinton, e in particolar modo verso gli attacchi sulle vittorie di Obama negli stati tradizionalmente repubblicani "Questa linea di attacco è un grave errore, in questo modo parti dal principio che metà del paese è dell'altro partito, è una strategia terribile. L'Indiana è uno stato Repubblicano? Oh, interessante. Fino all'attuale Governatore, l'Indiana ha avuto governatori Democratici per circa 12 anni, e la maggioranza al Congresso è Democratica. Allora ci sono una dozzina di "Stati Repubblicani" con maggioranza democratica. Niente male".

domenica 11 maggio 2008

Il borsino dei candidati

di Mark Halperin (TIME)

BARACK OBAMA


Attivi

1. Questo mese verranno resi noti altri decisivi endorsement dei superdelegati - che vinca o che perda nei prossimi stati.

2. Ogni giorno che passa diminuiscono per la Clinton le possibilità di rimontare e le primarie da vincere.

3. La comoda leadership tra i delegati elettivi mette al riparo da possibili eventi negativi, da una rimonta dell'ultim'ora della Clinton e da altri colpi all'immagine.

4. Quella del 2008 è ancora un'elezione basata sul cambiamento

Passivi

1. Il reverendo Wright potrebbe parlare in ogni momento, e in ogni modo.

2. La retorica di Obama (che termina con un piagnucolio contro un avversario tenace) sta cominciando a stancare.

3. La fatica derivata da mesi di campagna elettorale no-stop ha appannato il sorriso sul suo volto.
4. Obama è da adesso in poi il bersaglio privilegiato dei Repubblicani.

JOHN MCCAIN

Attivi

1. La storia infinita dei Democratici gli permette di affilare la sua preparazione in economia, di mettere in piedi una squadra e di costruirsi un'immagine di vincitore incontrastato.

2. L'esperienza, il senso pratico e la grinta, oltre all'abilità nel mettersi sotto i riflettori dei media.

3. Il potenziale per creare una propria immagine che lo differenzi dal suo partito spaccato e da un presidente irrimediabilmente impopolare.

4. Una nuova unità dei conservatori del partito (costruita più che da McCain dalla minaccia di una presidenza Clinton o Obama).

Passivi

1. Rimane un settantenne a Washington da una vita che si candida nell'anno del cambiamento.

2. Sta spendendo molto più tempo ed energie dei Democratici nella raccolta fondi, e sta raccogliendo molti meno soldi (una disparità che andrà avanti fino a novembre).

3. La prospettiva di essere legato indissolubilmente al suo partito spaccato e ad un presidente irrimediabilmente impopolare.

4. Scarsa pratica nel dibattito rispetto ai suoi avversari Democratici (che si sono affrontati faccia a faccia innumerevoli volte, con intensità pari a quella delle presidenziali).

HILLARY CLINTON

Attivi

1. Alcuni slogan ed exit poll la hanno definita ormai "la candidata della classe operaia".

2. Il ragionamento per cui la corsa dovrà andare avanti fino all'ultima primaria in modo che tutti gli elettori potranno dare un voto utile.

3. E' favorita nelle prossime primarie in West Virginia e Kentucky.

4. Un nuovo stile focoso e pronto all'attacco.

Passivi

1. Anche dopo aver attinto per milioni di dollari alle proprie finanze, ha molti meno soldi del suo rivale.

2. I reporter politici hanno ormai dato per chiusa la partita delle primarie.

3. Alcuni leader Democratici - terrorizzati dall'idea di un partito diviso e di una convention caotica - vogliono farla finita. Tra questi, un numero crescente di suoi sostenitori.

4. La dichiarazione secondo cui sarebbe vicina al pareggio nel voto popolare richiede una matematica creativa e l'abrogazione delle regole del partito


Copyright 2008 Time Inc. All rights reserved.

Mark Salter all'assalto di Obama

Mark Salter, il manager della campagna elettorale di McCain, rinuncia al suo tradizionale understatement per diramare uno dei comunicati più duri visti sin qui in questa campagna elettorale. Il suo bersaglio sono alcune recenti dichiarazioni di Barack Obama particolarmente polemiche verso McCain, che a detta di molti osservatori aprono ufficialmente la campagna per le presidenziali.
Nel comunicato, Salter accusa Obama di aver usato delle espressioni "tali da riferirsi in modo non particolarmente sottile all'età del Senatore. Questo è un comportamento tipico della campagna elettorale di Obama, ormai conosciamo bene questa nuova strategia politica: per prima cosa, chiedi rispetto al tuo avversario, poi lo attacchi, mistifichi le sue dichiarazioni e le usi per mettere in discussione la sua integrità. Si chiama ipocrisia, ed è il più vecchio tipo di politica.

E' importante capire cosa sta provando a fare il Senatore Obama: prova disperatamente a delegittimare le discussioni che portano a legittime domande riguardo il suo giudizio e la sua preparazione.
Con le loro parole e le loro azioni, Obama e i suoi sostenitori hanno reso evidente che ogni critica su ogni argomento - dal suo desiderio di alzare le tasse per milioni di piccoli investitori, al suo progetto di incontrarsi faccia a faccia con il presidente iraniano Ahmadinejad - costituisce un attacco personale.
Il Senatore Obama è fiducioso nel fatto che i media continueranno a formare una barriera protettiva attorno a lui, e ha buoni motivi per farlo. visto che seri giornalisti hanno ammesso di perdere la loro obiettività quando parlano di lui.

Oggi il Senatore Obama si è lamentato per alcune dichiarazioni in cui John McCain citava il fatto che un leader di Hamas ha dichiarato che la loro organizzazione "tifa" per Obama.
Infatti il 13 aprile un consigliere di Hamas ha detto "Ci piace Obama, speriamo che vinca le elezioni e crediamo che sia come John Kennedy, grande uomo di grandi principi, con una visione in grado di cambiare il ruolo dell'America nel mondo".
McCain non ha mai detto che Obama sostiene Hamas, ma è più che giusto citare queste frasi perchè ci dicono molto sulle implicazioni della sua politica.
Nel suo discorso di questa settimana. Obama ha ribadito che è "saggio" incontrare personalmente i nostri nemici, compresi Ahmadinejad, Kim Jong Il, Hugo Chavez e Raul Castro. Il Senatore McCain non potrebbe essere più in disaccordo. Piuttosto che sare a questi dittatori l'onore di incontrare il Presidente degli Sati Uniti, John McCain ha intenzione di incontrare i campioni dei diritti umani e a chi si batte per la libertà."

La risposta da parte di Obama è arrivata a stretto giro di posta per bocca del suo portavoce Bill Burton "Chiaramente le frasi di Obama non avevano nulla a che vedere con l'età di McCain, a dispetto della bizzarra interpretazione di Mark Salter. E' chiaro il motivo per cui un candidato che vuole dare un terzo mandato alla disastrosa politica di George Bush cerchi di distrarre l'opinione pubblica tramite attacchi di questo tipo, ma non è il tipo di campagna che John McCain aveva promesso agli americani".