sabato 26 aprile 2008

Dimmi come va a finire

di Karen Tumulty (TIME)

Come andrà a finire nessuno lo sa. Quando, più di 20 anni fa, un ristretto gruppo di dirigenti Democratici stabilì che l'assegnazione dei delegati nelle primarie avrebbe seguito un rigido sistema proporzionale, si enfatizzò il carattere egalitario del partito, ma allo stesso tempo si piantò il seme del loro peggior incubo. Ora questa possibilità si è avverata, e non c'è nessuna road map che decida dove andranno i Democratici. Gli stessi candidati e i loro collaboratori hanno pochi indizi su cosa accadrà, anche se alcuni di loro mantengono un certo senso dell'umorismo: David Axelrod, stratega di Obama, si è fatto fotografare con una t-shirt con scritto "Stop the drama, vote Obama".
Ma il dramma c'è ancora. All'interno del partito e dei due staff, pare che si prendano in considerazione tre possibili scenari per chiudere questa partita:

1. La Clinton perde in Indiana il 6 maggio e si ritira
Ci saranno due primarie il 6 maggio, ma in North Carolina è praticamente certo che vincerà Obama, quindi la Clinton deve concentrare i suoi sforzi sull'Indiana. Privatamente, i suoi collaboratori ammettono che sarà molto difficile andare avanti se non vince in quello stato.
La Clinton parte con alcuni grossi handicap. Il più grave è la mancanza di soldi: ad aprile aveva un debito di 10 milioni di $, soprattutto per i lauti compensi dei suoi consiglieri, e molti fornitori si lamentano per i ritardi nei pagamenti. Dopo la vittoria in Pennsylvania la Clinton ha incassato 5 milioni di fondi, ma non può tenere questo ritmo.
Obama, invece, ha messo in piedi una macchina di raccolta fondi via Internet mai vista prima. Ha raccolto in media 1 milione di dollari al giorno, e gli introiti non si fermano.
Ma la Clinton ha degli amici in Indiana. Ha il supporto del più importante politico Democratico in Indiana, il senatore (ed ex Governatore) Evan Bayh. Pare che le pressioni di Bayh siano l'unico motivo per cui quattro dei cinque Rappresentanti alla Camera dell'Indiana - superdelegati - non si siano ancora espressi a favore di Obama. E secondo i sondaggi, la Clinton sta diminuendo il distacco da Obama. Oltre alla classe operaia, la senatrice va forte tra i conservatori, ed è importante in uno stato che dal 1964 non vota per i Democratici alle presidenziali.
Se la Clinton vincerà a sorpresa in Indiana, sicuramente non si ritirerà prima che gli ultimi sei stati abbiano votato. A quel punto:

2. I leader del partito intervengono a giugno
I Democratici preoccupati parlano da mesi della possibilità che i leader del partito chiudano la partita a maggio. Ma in un gruppo così anarchico come il DNC è molto difficile capire chi può avere questa influenza, soprattutto ad urne ancora aperte. Al Gore, dato come favorevole a Obama, ha resistito alle richieste di intervento, dicendo "a nessuno piacciono gli arbitri".
Tutto ciò può cambiare dopo che Montana e South Dakota avranno chiuso le primarie, il 3 giugno. A quel punto il presidente del partito Howard Dean, il leader di maggioranza al Senato Harry Reid e la Speaker della Camera Nancy Pelosi diranno ai superdelegati indecisi - circa 300 su 800 - che è tempo di esprimersi.
Molti superdelegati non sono davvero indecisi, ma attendono ad esprimersi per una questione di principio "Non vogliono che si pensi che stanno dicendo agli elettori come votare" ha detto l'ex leader del Senato Tom Daschle, che sta facendo campagna per Obama tra i superdelegati.
E' dal 1984 - quando l'establishment del partito scelse Walter Mondale invece di Gary Hart - che la nomination non viene decisa dai superdelegati. In quel caso, tutti i leader del partito si schierarono per Mondale. In questo caso è diverso, Obama ha quasi annullato il formidabile vantaggio che aveva la Clinton, e molti degli indecisi lo appoggeranno se avrà, come pare probabile, il maggior numero di delegati elettivi.
L'unica speranza della Clinton è pareggiare o superare Obama nel voto popolare.
Il team Clinton fa inoltre notare che i superdelegati sono stati istituiti negli anni '80 per assicurare un nominato in grado di vincere le presidenziali. Se la Clinton vincerà in stati come la West Virginia o il Kentucky, dicono i suoi collaboratori, incrementerà i dubbi sull'eleggibilità di Obama in autunno.
Se la Clinton avrà un distacco minimo da Obama, tornerà in gioco il caso di Florida e Michigan, i cui delegati sono stati cancellati dal computo. Se questi stati dovessero risultare decisivi, si arriva al terzo e peggiore scenario:

3. Tutte le strade portano a Denver
Decidere se e come includere i delegati di Michigan e Florida nella convention è la grande incognita. La situazione della Florida dovrebbe essere più semplice, perchè entrambi i candidati erano presenti sulla scheda elettorale e l'affluenza è stata alta. Il Michigan è un'altra storia, perchè il nome di Obama non era sulla scheda ma la Clinton non acconsente a nessuna soluzione che cambi il risultato del voto.
Ciò vorrebbe dire che, per la prima volta dal 1972, il partito aprirà una convention senza un candidato designato. Se non si trova una soluzione per Florida e Michigan entro il 29 giugno tutto verrà deciso dal Credentials Committee, una commissione di un centinaio di persone su cui Dean ha poca influenza. Provate a immaginare: dopo un anno di affluenza record alle primarie, la nomination verrà decisa in una stanza fumosa da un gruppo di sconosciuti a luglio. Se succederà, ci sarà almeno una persona contenta: John McCain.

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McCain si oppone ad uno spot su Obama e Wright

In vista delle primarie in North Carolina, la divisione del Partito Repubblicano nello stato ha diramato su alcune televisioni uno spot in cui si affianca Obama alla figura del reverendo Jeremiah Wright, sua guida spirituale, e definisce il candidato "troppo estremista per la North Carolina", accusando i principali esponenti Democratico della NC per averlo appoggiato.
Oltre a far capire che i Repubblicani dello stato evidentemente preferirebbero che fosse la Clinton ad ottenere la nomination, lo spot è finito nel mirino di John McCain, che si è subito dissociato. Il Senatore sta conducendo in North Carolina una campagna elettorale, in vista delle presidenziali, molto aperta ai Democratici - che rappresentano la maggioranza. Qualche giorno fa si è fermato a Selma, città che fu teatro di violenti scontri razziali nel 1965, e dove ha teso una mano alla comunità di colore, ora questo spot rischia di compromettere i suoi piani. Pertanto McCain ha inviato una mail al Gop della North Carolina chiedendo che lo spot venisse ritirato "Non c'è posto per questo tipo di campagna elettorale divisiva. Gli americani non la vogliono".

Anche i Democratici, come ovvio, sono intervenuti. Howard Dean ha denunciato come "degradante" lo spot e, vista la decisione del Gop di non ritirarlo, ha accusato McCain di non aver fatto abbastanza per evitarlo. Ha anche ironizzato "Perché ha solo scritto una lettera? Perché non li chiama al telefono?"

Oltre a dar vita ad una dura polemica tra Dean e il suo omologo Repubblicano Mike Duncan, lo spot ha innescato anche una controversia interna al Gop. Nonostante la richiesta di McCain, e dello stesso RNC, i Repubblicani della North Carolina hanno rifiutato di ritirare lo spot, che infatti è regolarmente andato in onda come previsto (anche se 6 emittenti si sono rifiutate di trasmetterlo).
E' stato lo stesso direttore della comunicazione del partito nello stato, Brent Woodcox ha annunciato che lo spot sarebbe andato in onda, dando così l'opportunità al portavoce di Obama di accusare McCain di non avere influenza sui suoi stessi compagni di partito. In realtà sarebbe da dire che neanche il partito ha influenza sulle sue federazioni.

Più tardi, lo staff di McCain ha diramato un comunicato stampa in cui si parla di una serie di tragicomiche incomprensioni nel partito: inizialmente McCain e il partito erano stati avvisati da un dirigente locale che lo spot era stato ritirato, ma successivamente il Presidente del RNC in North Carolina Linda Daves aveva detto di non saperne niente, e che quindi lo spot sarebbe rimasto in programma.
Quale che sia la verità, alla fine lo spot è andato in onda.

venerdì 25 aprile 2008

Tutti i "traditori" della Clinton

L'edizione domenicale del New York Times è tradizionalmente dedicata agli approfondimenti sulla campagna elettorale e, nonostante l'endorsement, non si è rivelato particolarmente tenero con Hillary Clinton.
L'ultimo approfondimento riguarda tutti gli amici e colleghi della senatrice che, nel corso della campagna, la hanno abbandonata o sono passati con Obama.
Il quadro che ne emerge è quello di una emorragia di sostenitori che lascia la Clinton sempre più sola. Gli ultimi casi in ordine di tempo sono quelli di Nancy Larson, superdelegato del Minnesota e soprattutto di Robert Reich, ex membro dell'amministrazione Clinton e amico intimo dell'ex Presidente.
La Larson ha raccontato di un difficile e commovente incontro con Chelsea Clinton, nel quale ha annunciato alla ex "first daughter" la sua intenzione di ritirare il sostegno ad Hillary per passare tra le fila dei sostenitori di Obama: "Continuava a chiedermi 'perchè? perchè?'".
E' la domanda che si fanno molti consiglieri della Clinton, a volte in maniera meno civile di quanto espresso da Chelsea. Dopo dieci anni passati ad intessere relazioni con un'intera generazione di Democratici, la Clinton vede diminuire a vista d'occhio il consenso quasi proverbiale che aveva nel partito, e che la rendevano il "candidato inevitabile" fino a cinque mesi fa.

Molti hanno ritirato il sostegno alla Clinton per seguire la volontà dei propri elettori, ma c'è di più: una sorta di resa dei conti all'interno del partito.
La tensione è emersa già a gennaio in una conversazione tra un importante sostenitore della Clinton e Cameron Kerry, fratello di John Kerry (foto), che aveva appena appoggiato Obama.
Il sostenitore della Clinton ha ricordato che Bill fece campagna elettorale per Kerry nel 2004 nonostante fosse reduce da un delicato intervento chirurgico. Al che Cameron Kerry ha ricordato che suo fratello accettò di volare sull'Air Force One con Clinton subito dopo il voto di impeachment "quando nessuno voleva farsi vedere con lui".
"Nel partito e nel paese si sta sviluppando una certa insofferenza verso i Clinton" spiega Tom Daschle, ex leader della maggioranza al Senato e sostenitore di Obama.

Sono molti i membri dell'amministrazione Clinton che oggi sostengono Obama: oltre a Reich vale la pena di citare Greg Craig, consulente legale del Presidente durante l'impeachment, e Anthony Lake, ex consigliere per la sicurezza nazionale. "Molti di loro sono stati lanciati in politica dai Clinton" spiega Leon Panetta, ex capo dello staff alla Casa Bianca "Probabilmente i Clinton si aspettavano una maggiore riconoscenza".

Persone vicine alla Clinton spiegano che ci sono diverse gradazioni di risentimento verso questa presunta slealtà.
Ai loro occhi, il comportamento meno offensivo è quello di chi, pur essendo vicino ai Clinton, non aveva mai fatto dichiarazioni pubbliche di sostegno. E' il caso di Reich, che ha ribadito il suo affetto per la Clinton pur appoggiando Obama.
Poi ci sono quelli con cui la senatrice ha cercato ripetutamente di stringere accordi di sostegno, ma che alla fine sono passati con Obama: è il caso dei senatori Amy Klobuchar del Minnesota e soprattutto Bob Casey della Pennsylvania, o John D. Rockefeller IV della West Virginia.
Ci sono diversi sostenitori di Obama per i quali i Clinton hanno raccolto fondi in passato. E' il caso di Claire McCaskill (foto) del Missouri, che nel 2006 disse a Meet the press che Bill Clinton era un grande leader ma "non vorrei che mia figlia gli stesse vicino".
Ma i peggiori, ai loro occhi, sono coloro che fino a poco tempo fa erano vicini alla Clinton e oggi non solo sostengono Obama, ma fanno campagna elettorale per lui e criticano i toni usati dalla Senatrice.
E' il caso di Greg Craig, che ha detto "Se Hillary in campagna elettorale non riesce a controllare Bill, come potrà farlo alla Casa Bianca?". Ma il primo della lista è senza dubbio il Governatore del New Mexico Bill Richardson, che dopo aver appoggiato Obama ha detto "I Clinton sentono che la presidenza è una loro proprietà", venendo etichettato come "Giuda" da James Carville.
Bill Clinton sostiene che Richardson, ex ministro dell'energia e ambasciatore all'Onu sotto l'amministrazione Clinton, aveva garantito per ben cinque volte l'appoggio a Hillary.
"I rapporti sono diventati molto tesi" ha confessato Richardson.

John Kerry aveva avuto dei dissapori con la Clinton nel 2006, durante la campagna per le elezioni di medio termine, per delle incomprensioni sull'Iraq, ma lo scorso settembre la Clinton aveva fatto visita all'ex candidato presidenziale e la frattura sembrava superata. E invece, subito dopo le primarie in New Hampshire, Kerry ha fatto endorsement per Obama e ha poi criticato aspramente la campagna della Clinton. "Da allora per noi è morto" fa sapere un importante sostenitore della Clinton.

giovedì 24 aprile 2008

Analisi del voto in Pennsylvania

"Il vento è cambiato" ha dichiarato Hillary Clinton subito dopo l'ufficializzazione dei risultati in Pennsylvania, mentre Barack Obama si è complimentato con la rivale ma ha già rivolto la sua attenzione all'Indiana, dove si voterà il 6 maggio assieme alla North Carolina. I sondaggi danno Obama in vantaggio in entrambi gli stati (più in North Carolina che in Indiana), quindi il voto del 6 sarà un banco di prova per verificare se la Clinton è davvero in recupero. La Pennsylvania infatti ha fotografato una situazione di stallo, con risultati in linea con i sondaggi di un mese fa: Obama non riesce più a fare breccia nell'elettorato della Clinton, che dal canto suo non perde terreno ma non riesce neppure a guadagnarne.
Daniel Axelrod, stratega della campagna elettorale di Obama, ha evidenziato come le classi operaie bianche che rappresentano lo zoccolo duro della Clinton, nelle ultime presidenziali abbiano sempre votato per i Repubblicani, e che quindi non sono necessarie per far eleggere Obama. Una teoria abbastanza discutibile che è subito stata attaccata da Bill Clinton.

Le analisi dei media si concentrano però soprattutto sul significato di questa vittoria della Clinton, se cioè sarà in grado di guadagnare il momentum, o se si limiterà solo a danneggiare Obama. I risultati in Pennsylvania non si sono infatti discostati da quelli delle ultime primarie prima della pausa: la Clinton ha vinto tra i bianchi e tra gli anziani, Obama tra i neri e i giovani.
La Clinton sta preparando una dura campagna elettorale in North Carolina, un po' perchè spera di rimontare, ma soprattutto perchè vuole distogliere Obama dal fare campagna in Indiana, dove invece la senatrice ha più possibilità di mettere a segno una vittoria dal grande significato simbolico. Obama ha infatti bisogno di vincere in Indiana per dimostrare di poter conquistare un grande stato rurale a larga maggioranza bianca, tendenzialmente Repubblicano. Questi stati dimostreranno se il vento è davvero cambiato o se la Clinton ha semplicemente rallentato la corsa di Obama, danneggiandolo in vista delle presidenziali.
Vaughn Ververs, editorialista della CBS, ha evidenziato come non siano bastate sei settimane di campagna elettorale intensiva, con un bombardamento mediatico di spot elettorali, a spostare significativamente l'ago della bilancia in un senso o nell'altro in uno stato, la Pennsylvania, su cui non erano mai esistiti seri dubbi riguardo il risultato. La Clinton è riuscita a guadagnarsi altre due settimane di corsa, ma più probabilmente la possibilità di arrivare fino a giugno. Obama ha perso un altro grande stato aumentando i dubbi sulla sua eleggibilità.
Inoltre, come già in altri grandi stati, i Democratici si sono spaccati sulla base di differenze di razza, genere, età e religione (in Pennsylvania il 70% dei cattolici ha votato Clinton). Quello che emerge dai sondaggi è che le posizioni si stanno radicando: il 62% degli elettori della Clinton in Pennsylvania sostengono che non sarebbero soddisfatti se Obama ottenesse la nomination, mentre il 52% degli elettori di Obama dicono la stessa cosa della Clinton. Peggio ancora, il 25% degli elettori della Clinton e il 16% di quelli do Obama hanno detto che a novembre voteranno per McCain se il loro candidato non otterrà la nomination. A questo punto, prima che le divisioni interne ai Democratici diventino insormontabili, entrambi i candidati cominceranno probabilmente a spostare il loro tiro su John McCain, ma forse non prima del 6 maggio.

La presidenza? "Non è un lavoro per vecchi"

John Murtha (nella foto), 75 anni, uno dei principali sostenitori della Clinton in Pennsylvania, nel presentare la senatrice durante un comizio ha parafrasato il titolo dell'ultimo film dei fratelli Coen affermando che John McCain è troppo vecchio per fare il Presidente.
Per la prima volta, quindi, dallo schieramento di uno degli avversari di McCain viene utilizzato il fattore-età, che secondo molti è la vulnerabilità più evidente del Repubblicano, anche se ci sono pareri discordanti sull'efficacia di questi messaggi, tanto che non più di dieci giorni fa il presidente del DNC Howard Dean aveva sconsigliato i candidati dall'attaccare McCain sull'età, ritenendolo un argomento controproducente.

Intanto, sondaggi condotti tra i Repubblicani mostrano che McCain sta recuperando terreno tra i conservatori, che non avevano apprezzato la sua nomination. Anche se viene visto ancora con sospetto, ha gli stessi rating di George W. Bush nel 2000: il 18% dei conservatori, secondo un sondaggio CBS NEws/New York Times, ha un'opinione negativa su McCain (la stessa cifra totalizzata da Bush 8 anni fa). Tra questi, tuttavia, solo in pochi hanno detto che si asterranno a novembre, la maggior parte afferma che seguirà la scelta del partito. "Tra noi e McCain ci sono delle differenze" ha detto il Rappresentante Repubblicano dell'Indiana Mike Pence, che sta per fare endorsement per McCain "ma lui si sta avvicinando alla destra e la destra si sta avvicinando a lui". Infatti McCain sta sottolineando le sue posizioni anti-abortiste e ha promesso di non aumentare le tasse.
Phil Gramm, consigliere di McCain, ha detto "Gli indipendenti amano McCain, i Democratici apprezzano McCain. I conservatori non amano particolarmente McCain, ma lo rispettano, e il rispetto dura più dell'amore".
Le perplessità tra alcuni conservatori "duri e puri" comunque restano. Il noto conduttore radiofonico Mark Levin, uno dei maggiori oppositori di McCain, spiega che alla fine prenderà "una decisione pragmatica" ma "Comunque vada, i conservatori sono attesi da 4 anni difficili. Ma cosa dobbiamo fare? Molti conservatori voteranno McCain ma non ne sono per niente entusiasti".
Tony Perkins, presidente dal Family research Council, è ancora più duro "Noi conservatori non dobbiamo chiederci 'cosa dobbiamo fare per far eleggere McCain?' ma dobbiamo chiederci 'cosa dobbiamo fare?'".

La preoccupazione per i Repubblicani viene dalla possibile candidatura di Bob Barr per il Libertarian Party, che potrebbe rappresentare ciò che è stato Ralph Nader per i Democratici nel 2000.
Barr attirerebbe i voti dei più conservatori. Pochi voti ma nei testa a testa, pochi voti sono decisivi, come sa bene Al Gore, che perse la Florida e la presidenza per 537 voti.
Barr non ha ancora sciolto la riserva, ma ha detto di stare prendendo seriamente in considerazione l'ipotesi di candidarsi.

mercoledì 23 aprile 2008

Aggiornamento sui delegati

Getty Images/Photo Illustration

MSNBC: Obama 1,728, Clinton 1,595
ABC: Obama 1,724, Clinton 1,586
CBS: Obama 1,715, Clinton 1,585
AP: Obama 1,723, Clinton 1,592
CNN: Obama 1,719, Clinton 1,586
NY TIMES: Obama 1,699, Clinton 1,545

Ancora da assegnare: 720 delegati (stima)

Risultati 22 aprile: Pennsylvania

In perfetta continuità con queste primarie continuamente in equilibrio, Hillary Clinton vince in Pennsylvania con 10 punti di scarto: esattamente il vantaggio che secondo gli osservatori lascia aperta la corsa. Non qualche punto in più, che la avrebbe riaperta del tutto, non qualche punto in meno, che la avrebbe probabilmente chiusa. Quanto basta però per far dire alla Clinton che la ruota sta girando dalla sua parte, nonostante abbia ottenuto solo 10 delegati in più di Obama lasciando pressochè invariata la situazione.
Rimane tutto come prima, e il prossimo vero test sarà in North Carolina. Qui i sondaggi fino a qualche settimana fa davano Obama in vantaggio: se la Clinton recupererà, allora tutto potrà succedere da qui ad agosto.

Democratici


Pennsylvania

Hillary Clinton: 54,26% (84 delegati)

Barack Obama: 45,74% (74 delegati)

martedì 22 aprile 2008

Ultimi fuochi in attesa del verdetto

Le urne sono aperte in Pennsylvania, si attende un'affluenza senza precedenti e molti osservatori sono preoccupati per i possibili problemi durante lo spoglio, e soprattutto per l'attendibilità dei sondaggi che potrebbero non rispecchiare la popolazione reale che si è recata a votare.
Intanto la campagna elettorale nel Keystone State si è conclusa con ulteriori scambi di cortesie tra i candidati Repubblicani.
La Clinton ha diffuso un ultimo spot televisivo in cui ha risposto ai (numerosissimi) spot di Obama ribadendo il messaggio lanciato nel noto "3 AM", che la aveva portata a vincere in Ohio e Texas, puntando cioè sulla sua esperienza e competenza sul tema della sicurezza nazionale.
Stavolta però Obama non è stato a guardare, e nelle ultime ore di campagna elettorale ha diffuso un depliant del 1992, prodotto per Bill Clinton e Al Gore. In questo flyer, il marito di Hillary e futuro presidente diceva "Non fidatevi di un candidato che fa appello alle vostre paure, scegliete chi sa infondervi ottimismo e speranza".

Per Obama è arrivato in extremis un endorsement non certo influente ma curioso: Julie Nixon Eisenhower (foto), figlia minore dell'ex Presidente Repubblicano Richard Nixon e moglie del nipote di un altro Presidente Repubblicano, Dwight Eisenhower, ha appoggiato pubblicamente Barack Obama, donando anche dei fondi.

Verso il voto: le primarie in Pennsylvania

L'immagine “http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/f/f7/Flag_of_Pennsylvania.svg/120px-Flag_of_Pennsylvania.svg.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
La Pennsylvania è il 33° stato più esteso degli Usa, ma il 6° più popoloso, con 12.406.000 abitanti e una densità di 106,88 abitanti per kmq. E' uno stato del nord-est, confina con New York, New Jersey, Delaware, Maryland, Virginia e Ohio. La città più importante e popolosa è Philadelphia, con quasi un milione e mezzo di abitanti, ma la capitale è Harrisburg, di appena 49.000 abitanti.
Il nome proviene dal fondatore dello stato, William Penn, che voleva onorare il padre e sottolineare il carattere boscoso del territorio.
Prima della colonizzazione, il territorio era occupato da tribù di nativi americani tra cui Delaware e Irochesi. I primi coloni a stanziarsi nel territorio furono gli svedesi, nel 1643, seguiti poi da olandesi e inglesi che rapidamente ne presero il controllo. Nel 1681 re Carlo II d'Inghilterra diede a William Penn la concessione per fondare una colonia destinata ai protestanti quaccheri vittime di persecuzioni in patria. Originariamente lo stato comprendeva anche parte dell'attuale Delaware, che si serparò all'inizio del 1700. Pennsylvania e Delaware furono fra le 13 colonie che si ribellarono agli inglesi dando vita alla Rivoluzione Americana, e proprio a Philadelphia venne redatta la Costituzione degli Stati Uniti, di cui fu capitale dal 1790 fino al 1800, quando passò a Washington.
La Pennsylvania, secondo stato ad entrare nell'Unione, ebbe nel secolo successivo un enorme sviluppo economico e industriale che non si interruppe neanche nella guerra di Secessione. Nella seconda metà del XX secolo, la Pennsylvania ha subito una lenta recessione a causa della crisi del settore siderurgico.
La popolazione della Pennsylvania è composta per l'87% da bianchi, per l'11% da neri e per il 2,5% da asiatici. Il 53% della popolazione è cattolico, il 30% protestante, il 10% evangelico. Lo stato ha la più alta concentrazione di Amish
Il Pil della Pennsylvania è il 6° degli Usa, l'economia si basa sul settore manifatturiero e siderurgico, sull'agricoltura e sul turismo.
Lo stato è governato da un Democratico, Edward Rendell, ma è un cosiddetto "swing state". Dopo anni di predominio Repubblicano, le elezioni di mid term del 2006 hanno visto un recupero dei Democratici. Il Gop mantiene comunque la maggioranza dei Senatori.

Per i Democratici, la Pennsylvania mette in palio 187 delegati, di cui 158 elettivi e 29 superdelegati con il sistema della primaria chiusa. Dei 158 delegati elettivi, 103 vengono assegnati proporzionalmente sulla base dei risultati nei 19 distretti elettorali. Ogni distretto ha dai 3 ai 9 delegati a seconda della dimensione. Gli altri 55 delegati elettivi vengono assegnati sulla base dei risultati in tutto lo stato. La convention si terrà il 7 giugno, e dei 29 superdelegati 15 si sono espressi in favore della Clinton e 5 di Obama.
I sondaggi mostrano da mesi un predominio della Clinton, per cui questo stato sembra fatto su misura. Tuttavia, a detta di molti osservatori, per sperare in un sostanzale recupero su Obama deve vincere con un distacco di almeno 10 punti. Gli ultimi sondaggi danno un distacco variabile dai 5 ai 10 punti. Rasmussen, il 17 aprile, è l'unico a dare un distacco minore, di soli tre punti, mentre American research Group, lo stesso giorno, dà la Clinton avanti di 13 punti.

Per i Repubblicani la Pennsylvania assegna 74 delegati, di cui 61 assegnati sulla base del voto nei 19 distretti elettorali, 10 assegnati dalla convention statale e 3 superdelegati. Il sistema è quello della primaria chiusa.
Ovviamente la primaria in questo caso è un pro-forma. Gli ultimi sondaggi prima che McCain conquistasse matematicamente la nomination lo davano al 59%, con 29 punti di vantaggio su Mike Huckabee.

Le urne si aprono alle 7 ora locale (le 13 in Italia) e si chiudono alle 8 pm (le 2 di notte in Italia).

lunedì 21 aprile 2008

Un po' di numeri sulla Pennsylvania

Mentre il Philadelphia Daily e il Pittsburgh Post-Gazette fanno ufficialmente endorsement per Obama, gli ultimi sondaggi sulla Pennsylvania prima del voto di domani forniscono un quadro abbastanza stabile ma soggetto a numerose variabili.

Un sondaggio della Quinnipiac University condotto tra il 9 e il 13 aprile vede la Clinton al 50% con 6 punti di vantaggio su Obama e il 6% di indecisi. Questo sondaggio ha anche fotografato una situazione di grande tensione tra i sostenitori dei due candidati: il 25% dei supporter della Clinton è orientato a votare McCain a novembre se Obama sarà il candidato Democratico, mentre il 19% dei sostenitori di Obama farebbe lo stesso se la Clinton ottenesse la nomination.
Nello specifico, tra gli elettori bianchi la Clinton ha il 57% dei voti contro il 37% di Obama (+1% rispetto ad un analogo sondaggio della settimana precedente", mentre tra i neri Obama ha l'86% e la Clinton il 6% (+11% per Obama). Tra le donne, la Clinton guida per 54% a 40%, tra gli uomini prevale Obama per 51% a 43%.

Un sondaggio del Daily News, pur confermando il distacco di 6 punti in favore della Clinton, fornisce un quadro un po' diverso.
La Clinton avrebbe il 46% contro il 40% di Obama, e gli indecisi ammonterebbero al 14% (qui trovate il sondaggio completo). Rispetto al mese precedente, ci sarebbe stato uno spostamento di 5% in favore di Obama.
Inoltre il senatore vedrebbe accrescere di 6 punti il proprio gradimento (53%), mentre la Clinton perde 7 punti, restando comunque al 58%.
Tuttavia gli esperti dicono che questi sondaggi non tengono conto delle possibili ricadute delle frasi di Obama sulla provincia americana, che potrebbero danneggiarlo soprattutto nelle piccole cittadine dello stato.
Il sondaggio del Daily News evidenzia una spaccatura tra ovest e est in Pennsylvania. La parte ovest, anziana e conservatrice, è terra della Clinton, mentre il sud-est e Philadelphia, più liberale e giovane, è in preda alla Obama-mania. A Philadelphia il vantaggio di Obama sarebbe di 16 punti.

Il sondaggio condotto da Pittsburgh Post-Gazette/Msnbc/McClatchy il 19 aprile dà invece alla Clinton un vantaggio di 5 punti, 48 a 43. Da questo sondaggio emerge che gli indecisi sono soprattutto gli abitanti delle zone rurali dello stato, ovvero in quelle zone in cui la Clinton gode già di consensi al di sopra del 50%. Infatti gli indecisi sono più propensi a votare per la senatrice che per Obama, quindi il margine di vittoria alla fine potrebbe essere più ampio.

Infine la CBS e UWire hanno condotto un sondaggio tra i giovani che frequentano il college in Pennsylvania. L'89% di loro segue le primarie con attenzione (il 42% con molta attenzione) e il 71% preferisce Obama contro il 28% che voterebbe Clinton.
Gli studenti ritengono inoltre che John McCain ha l'esperienza e la capacità per essere un buon Presidente (qui il sondaggio completo).
Questi dati non possono però inserirsi pienamente tra i sondaggi elettorali, perchè molti degli studenti che frequentano il college in Pennsylvania provengono da altri stati e sono iscritti nelle liste elettorali del loro luogo di provenienza. Le primarie della Pennsylvania sono chiuse, e quindi solo gli studenti originari dello stato, o che hanno trasferito lì la residenza, potranno effettivamente esprimere il loro voto domani.

Ayers è il nuovo tallone d'Achille di Obama

A differenza della vicenda riguardante il Reverendo Wright, che è stata catapultata all'attenzione dei media, è stata sviscerata per diversi giorni di seguito ed è poi passata in cavalleria senza incidere in maniera significativa sul gradimento di Obama (è stata invece il punto di partenza dell'apprezzato discorso sul razzismo), il rapporto tra il senatore dell'Illinois e l'ex terrorista William Ayers ha cominciato in sordina ma rischia di rimanere sull'agenda dei media a lungo. Per gli osservatori a Washington è ciò che in gergo si chiama "swift boat" (nave d'assalto), la nuova arma con cui provare ad affondare Obama. Questa percezione nasce dall'utilizzo che Hillary Clinton ha fatto dell'argomento durante il dibattito di mercoledì. La senatrice ha messo in evidenza l'argomento, e il fatto che non abbia affondato troppi colpi sul tema fa pensare che tornerà ad utilizzarlo molto presto.

Un po' di storia: William Ayers è oggi un docente di college, ma negli anni '70 era un membro di spicco di un'organizzazione radicale chiamata Weather Underground. E' un gruppo che, per semplificare, potremmo paragonare all'italiana Lotta Continua: partendo dalla fine degli anni '60 come movimento di opinione collegato anche all'antirazzismo delle Black Panthers (Bob Dylan dedicò una canzone al movimento), l'attività di WU si spostò decisamente sul versante della lotta armata rendendosi responsabile di diversi attentati. Gli aderenti del gruppo (spesso provenienti dalla buona società), dopo un periodo di latitanza, si consegnarono alle autorità ottenendo spesso e volentieri sconti di pena.
In particolare Ayers evitò il processo per un cavillo legale. Tornato al college, ottenne un dottorato di ricerca.
In una intervista al NY Times, pubblicata per ironia della sorte l'11 settembre 2001, Ayers disse "Non mi pento di aver messo bombe. Penso di non aver fatto abbastanza"

Le strade di Obama e di Ayers si sono incontrate nel 1999, quando il futuro candidato Democratico è diventato direttore della fondazione filantropica Woods Fund a Chicago, associazione in cui era coinvolto anche Ayers, che continua a collaborare mentre Obama ha lasciato l'incarico nel 2002.
La Woods Fund, fondata negli anni '50, è molto attiva nello sviluppare iniziative per l'educazione dei bambini nei quartieri poveri e nel combattere la povertà collaborando con associazioni di volontariato di Chicago. Ayers ne è il membro più controverso, in mezzo a diversi importanti uomini d'affari.
Il punto del contendere non è tanto il fatto che Obama abbia conosciuto Ayers, ma che tipo di rapporto sia intercorso tra loro, e se in qualche modo riguardi la politica. Obama ha descritto il suo rapporto con l'ex terrorista "amichevole" ma non stretto. La Clinton si è lamentata del fatto che la stampa non abbia esaminato a dovere questi rapporti "Ayers era un terrorista, metteva bombe che hanno ucciso delle persone. E' un argomento su cui le persone devono essere informate" ha detto durante il dibattito di mercoledì scorso.
Obama ha ricordato che fu Bill Clinton a concedere la grazia ad alcuni mebri della Weather Underground, e che che le azioni terroristiche "detestabili" di Ayers risalgono a quasi 40 anni fa "quando io ne avevo 8. Non è una persona con cui ho regolari scambi di opinioni".
Ayers non ha rilasciato dichiarazioni in merito, ma certamente se ne tornerà a parlare.

domenica 20 aprile 2008

MCain è come Dole? / 1

Il seguente post è un riassunto di un articolo ben più lungo scritto da John Heilemann per il New York Magazine. Vista la lunghezza, lo suddividerò in tre parti a cadenza settimanale.
Si tratta di un articolo sicuramente di parte, come potrete leggere, ma che proprio per questo è interessante per capire su quali punti si concentrerà maggiormente la campagna elettorale anti-McCain nei mesi a venire, e per avere un punto di vista diverso sul candidato Repubblicano. Inoltre, nella parte finale, fornisce un'analisi su quale sarà la strategia Repubblicana contro i Democratici nelle presidenziali.


John McCain è Bob Dole o Dwight Eisenhower?
Dipende se Barack Obama è John Kennedy o Mike Dukakis

di John Heilemann (New York Magazine)
E' stata una giornata dura per McCain, specialmente vista la sua età. Eppure non sembra, ripete per l'ennesima volta "amici" alla folla, poi sale sul palco di Dallas. La folla non è oceanica come quella di Barack Obama, ma ugualmente rumorosa ed entusiasta.
I fidi Mark Salter e Steve Schimidt si posizionano in modo da vedere sia il senatore sia lo schermo piatto su cui McCain leggerà il discorso. Sono con McCain da abbastanza tempo per sapere che il senatore e il gobbo elettronico sono nemici mortali. Quando va bene, McCain guarda di traverso lo schermo e i suoi occhi seguono il testo che scorre. Quando va male, si blocca, balbetta, incespica sulle parole.
Per questo il discorso è abbastanza breve. Va tutto bene ma poi...lo schermo si spegne. McCain deve andare a braccio.
Impallidisce, cerca tra le carte che ha in mano, fa l'occhiolino, temporeggia in attesa che lo schermo si riaccenda. Passano 10, 20, 30, 40 secondi senza che McCain dica una parola. La folla comincia a rumoreggiare. Prima che l'incidente diventi qualcosa di abbastanza grosso da finire sui tg nazionali, lo schermo riprende vita e McCain riprende da dove si era interrotto.
Per gli standard della campagna di McCain, non è successo niente di grave. Un anno fa nessuno avrebbe scommesso sulla nomination, figuriamoci se un incidente del genere può preoccuparli, soprattutto visto che la sua popolarità è ai massimi, 67% secondo Gallup.

La resurrezione politica di McCain si deve tanto alla debolezza dei Repubblicani quanto alla sua grinta. Tuttavia gli osanna di questi giorni non devono far dimenticare che McCain è un candidato fondamentalmente debole, un candidato che non è in grado di raccogliere fondi neanche mentre i Democratici sono in stallo, che non riesce ad esaltare la base del Gop, il cui programma è stato sintetizzato dal suo collega di partito Pat Buchanan "Non riavrete i vostri lavori, i clandestini non torneranno a casa, ma in compenso avremo molte altre guerre". Un candidato che un'abile propaganda può facilmente trasformare da eroe di guerra a Nonno Simpson. Un candidato che pone al campo Democratico un serio quesito "Se non siete in grado di battere uno così in un anno come questo, con una guerra impopolare ancora in corso e la recessione dietro l'angolo, cosa avete intenzione di fare?".

Le difficoltà di McCain riguardano soprattutto due punti. Il primo è l'Iraq: McCain deve ancora fare i conti con l'infelice uscita riguardo il fatto che, se necessario, gli Usa rimarranno in iraq 100 anni. Schmidt dice che il popolo americano imparerà ad apprezzare il punto di vista di McCain, ma intando i sondaggi dicono che il 60% degli elettori vede con favore l'ipotesi di fissare una data precisa per il ritiro.
Il secondo punto è anche più problematico: l'economia. In New Hampshire McCain è arrivato a dire "L'economia è un argomento che non sono mai riuscito a capire bene quanto avrei dovuto". Ed è stato Presidente della Commissione Commercio del Senato, non dimentichiamocene. Anche i più leali dei Repubblicani sono preoccupati per le carenze di McCain sul tema. Oltretutto McCain in economia è il gemello di Bush, e questo è un argomento che sicuramente i Democratici non mancheranno di usare in campagna elettorale. E sarà un argomento efficace, perchè gli elettori ancora non si sono accorti bene di questo aspetto di McCain. Mike Podhorzer, vice direttore politico del AFL-CIO, la principale confederazione sindacale degli Usa, ha raccontato "Quando spieghiamo nei focus group le posizioni di McCain su sanità, welfare e stipendi, la gente rimane scioccata e dice di voler riconsiderare il proprio voto".

(continua)