sabato 5 aprile 2008

Alcune cose dolorose che la Clinton sa - o dovrebbe sapere

di Mark Halperin (TIME)




  1. Non può vincere la nomination senza ribaltare la volontà dei delegati elettivi, cosa che le alienerà il favore di molti Democratici


  2. Non può vincere la nomination senza una sanguinosa battaglia in convention, dopo cui, anche in caso di vittoria, la storia e molti Democratici la giudicheranno negativamente.


  3. Recuperare nel numero di voti non è fuori questione - ma senza una ripetizione del voto in Florida e Michigan sarà impossibile come recuperare nel numero di delegati elettivi.


  4. Nancy Pelosi e altri leader del partito non credono che lei possa vincere e vogliono che si ritiri.


  5. L'abile staff di Obama può fare cose come rifiutare silenziosamente la ripetizione del voto in Michigan e Florida senza pagarne un prezzo politico.


  6. Molti dei suoi sostenitori - e anche alcuni dei suoi collaboratori - sarebbero sollevati se lei decidesse di ritirarsi. Alcuni pensano che dovrebbe gettare la spugna a giugno se dovesse essere evidente che continuare a lottare danneggerebbe Obama in vista delle elezioni presidenziali.


  7. Nonostante la storia del Reverendo Wright, i media preferiscono ancora Obama - e questo ha un grosso impatto.


  8. Obama non sarà tanto bravo a parlare di nuova economia globale, ma non lo è neanche lei (e neanche McCain)


  9. Molti dei maggiori superdelegati rimasti preferiscono Obama, e lei li sta a malapena trattenendo dal fare un annuncio pubblico.


  10. Lei non può dire pubblicamente più del 2% di tutte le cose che vorrebbe dire su razza, eleggibilità, esperienza e possibilità di battere McCain.


  11. Se in qualche modo riuscisse a vincere la nomination, dovrebbe per forza offrire la vicepresidenza a Obama, e non vuole farlo.


  12. Queste sono le elezioni del cambiamento, e Bush-Clinton-Bush-Clinton non può essere un vero cambiamento.


  13. Obama si diverte parecchio, lei no


  14. Anche se la sua campagna sta attraversando il momento migliore da molto tempo a questa parte, non c'è nessuno del suo staff che, se solo ne avesse mezza opportunità, non taglierebbe la gola al manager Mark Penn - e questi dissidi interni non le saranno di aiuto.

I candidati commemorano Martin Luther King

L'immagine “http://markhalperin.files.wordpress.com/2008/04/candidatesking.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
Il 4 aprile 1968, Martin Luther King venne ucciso mentre era affacciato ad un balcone del Lorraine Motel di Memphis, poco prima di guidare una marcia.


A 40 anni dall'omicidio, i tre candidati ancora in corsa per la Casa Bianca hanno commemorato il Reverendo, con un occhio - ovviamente - al voto degli afro-americani.
John McCain si è recato personalmente a Memphis, e fuori dal Lorraine Motel si è scusato per essersi opposto, in passato, ad introdurre una festività dedicata a King, assicurando il suo impegno futuro in questo senso.
McCain ha anche dichiarato di tenere in grande considerazione il voto degli afro-americani, assicurando che farà campagna elettorale anche in quei luoghi che i Repubblicani solitamente evitano pur sapendo "che non otterrò la maggioranza del voto nero". Ha spiegato che dal 1983, quando votò contro l'introduzione di una festività per MLK, ha cominciato a studiare l'opera del Reverendo "Ho imparato che quest'uomo ha rappresentato una figura trascendente nella storia americana, merita di essere onorato.


Barack Obama ha spiegato che il suo discorso sul razzismo si va ad inserire nel solco tracciato da King "Con la fede, il coraggio, e la saggezza, Martin Luther King ha mosso un'intera nazione. Ci sono state molte discussioni sull'eredità del Reverendo King, ed è giusto che le discussioni si concentrino sulle questioni razziali - perchè c'è stato un tempo in cui uomini e donne comuni hanno sfidato ciò che ritenevano sbagliato e hanno perfezionato la nostra unione. E lo hanno fatto perchè il Reverendo King li ha ispirati". Obama ha poi ricordato che, quel 4 aprile 1968, King si preparava a marciare per i diritti dei lavoratori e contro la povertà "e quando è stato ucciso, nel cuore della nazione si è aperta una ferita che deve ancora essere sanata". "Ovviamente, oggi non potrei essere dove sono, se non fosse stato per Martin Luther King".


Hillary Clinton non ha parlato direttamente di Martin Luther King, ma ha colto l'occasione per annunciare che, se eletta, creerà un ministero con lo specifico compito di combattere la povertà, un provvedimento che è stato a lungo proposto da Martin Luther King III, figlio del Revedendo. "Dobbiamo sconfiggere la povertà in America, e questo gabinetto si concentrerà su questo tema. E' una soluzione per cui il figlio del Reverendo King si è battuto a lungo"

venerdì 4 aprile 2008

Sondaggio: l'America è pronta per un presidente nero

Nel giorno esatto in cui cade il quarantesimo anniversario dall'assassinio di Martin Luther King, la CNN pubblica i risultati di un sondaggio sui sentimenti degli americani riguardo la possibilità di eleggere un presidente di colore, un argomento particolarmente sensibile vista la candidatura di Obama, ma che interessa anche i Repubblicani visto che in un futuro non troppo lontano Condoleeza Rice sembra destinata ad essere della partita.

Rispetto ad analoghi sondaggi precedenti, la percentuale di americani che ritiene che il paese sia pronto per un leader di colore è in crescita: 76%, contro il 62% di un sondaggio di dicembre.
E' quindi innegabile che il successo di Barack Obama nelle primarie Democratiche abbia un ruolo di primo piano in questa rapida crescita.
"Anche se Obama non è mai stato menzionato nel sondaggio, è evidente che molti di coloro che hanno risposto, avevano in mente lui" ha spiegato il direttore dei sondaggi della CNN, Keating Holland.

La cosa curiosa che emerge dal sondaggio è che sono i bianchi più dei neri a credere che gli USA siano pronti per un presidente di colore: fra i bianchi infatti il 78% ha risposto positivamente, contro il 69% degli afroamericani.
"I neri sono più scettici dei bianchi, a causa delle loro esperienze personali" ha detto l'analista politico Bill Schneider "ma anche tra di loro c'è una crescita di ottimismo dalla vittoria di Obama in Iowa in poi."
"I neri che si mostrano più ottimisti sono quelli che condividono dei tratti con Obama: infatti l'ottimismo è maggiore tra gli uomini che tra le donne, maggiore tra i neri istruiti piuttosto che tra quelli con istruzione meno elevata, maggiore tra i giovani piuttosto che tra gli anziani" ha spiegato Holland.

Il sondaggio mostra anche che gli americani si sentono più pronti ad un presidente di colore che ad un presidente donna, solo il 63%.
"I pregiudizi degli americani verso le donne sono maggiori di quelli verso i neri? Più probabilmente, hanno maggiori sentimenti negativi verso questa donna che verso questo afroamericano. Perchè, è vero, l'opinione che la gente ha di Hillary Clinton è molto più negativa di quella verso Obama" ha spiegato Schneider.
Fatto importante: il sondaggio chiedeva agli intervistati se il paese secondo loro è pronto ad un presidente nero o ad una donna, non se loro erano disponibili a votare per un nero o per una donna.
"Poche persone sono disposte a riconoscere i propri pregiudizi, ma sono disposte ad aprirsi con domande di argomento più generale" ha detto Schneider.

Il sondaggio ha anche chiesto se l'America negli anni ha rispecchiato le visioni auspicate da Martin Luther King nel famoso discorso "I have a dream" del 1963.
Il 34% ha risposto sì, il 41% ha risposto no, ma è ancora possibile farlo, il 19% ha detto no, e che è impossibile.

McCain compila la lista dei possibili vice

di David Espo (AP/TIME)



John McCain ha iniziato a "mettere insieme una lista di nomi" per scegliere il suo 'running mate' alle elezioni di novembre, e mercoledì ha annunciato la sua intenzione di comunicare la sua decisione prima della convention di settembre.
"Vorrei farlo il più rapidamente possibile. So che, vista la mia età, questa è una decisione molto importante" ha detto il Senatore, 71 anni.
McCain ha detto ai reporter che la ricerca del vice potrebbe richiedere settimane, se non mesi. La sua scelta è "ad uno stato embrionale, potrebbe essere uno qualsiasi dei circa 20 nomi della lista".

Ha detto di volersi muovere in fretta, ricordando il caso del 1988, quando George H. Bush nominò Dan Quayle all'ultimo momento utile per sfruttare l'elemento sorpresa.
"Quayle non era preparato ad alcune delle questioni che avrebbe dovuto affrontare" ha spiegato McCain, senza dare colpe a Quayle.

Parlando con i reporter, McCain non ha dato dettagli sulla sua ricerca "Abbiamo appena cominciato a compilare la lista e ad esaminare i nomi. Se avessi delle preferenze personali, le direi prima della convention per evitare quegli errori che ho visto fare in passato".
McCain parla spesso con calore dei suoi avversari alle primarie, l'ex Governatore dell'Arkansas Mike Huckabee e l'ex Governatore del Massachusetts Mitt Romney. Quest'ultimo in particolare, dopo alcune settimane di tentennamento, ha appoggiato McCain, si è detto disponibile a fargli da vice e ha viaggiato con lui negli ultimi giorni in campagna elettorale.

Ci altri Governatori tra i papabili: Tim Pawlenty del Minnesota, Charlie Crist della Florida (nella foto con McCain), Haley Barbour del Mississippi, Mark Sanford della South Carolina e Jon Huntsman Jr. dello Utah.

E' però possibile che McCain segua una strada insolita puntando all'imprenditoria. Per esempio Frederick Smith, capo della FedEx. Un altro nome è quello di Robert Portman dell'Ohio, esperto di bilancio dell'amministrazione Bush.

giovedì 3 aprile 2008

Il discorso di Obama sul razzismo

Molti si aspettavano che a Philadelphia Obama parlasse degli argomenti maggiormente rilevanti per le primarie di aprile (la recessione economica, le politiche industriali, il commercio con l'estero). Invece Obama, anche per frenare il calo di popolarità dovuto alle esternazioni del Reverendo Wright, ha affrontato il tema del razzismo, un argomento rimasto sempre sottotraccia nella sua campagna elettorale, perchè il candidato non voleva passare per il "solito" nero che si batte per i diritti dei neri (Jesse Jackson docet), ma voleva accreditarsi come un candidato unitario che solo incidentalmente è afroamericano.
Il discorso ha ottenuto una eco e un consenso unanimi tra i Democratici (e indispettito molti Repubblicani), tanto da portare nel giro di poche ore all'endorsement dell'ispanico Bill Richardson.
Ecco i passi principali del discorso che, qualora Obama dovesse diventare Presidente, sarà ricordato come una tappa fondamentale sulla via dell'elezione.

"Sono il figlio di un nero del Kenya e di una bianca del Kansas, e non dimenticherò mai che in nessun altro paese della Terra sarebbe possibile una storia come la mia. E' una storia che ha fatto di me un candidato non convenzionale. Ma è la storia che mi ha convinto dell'idea che questa nazione è più della semplice somma delle parti - di tutti, noi siamo una cosa sola.
[...] Ecco dove siamo ora, in uno stallo razziale, fermi da anni. Contrariamente a quanto pensano molti miei detrattori, non sono così ingenuo da pensare che possiamo superare le nostre divisioni solo con delle semplici elezioni, o con una candidatura, soprattutto con una candidatura imperfetta come la mia.
Possiamo accettare una politica che genera divisioni, conflitti e cinismo, ma se lo facciamo non cambierà mai nulla. In queste elezioni, possiamo unirci e dire "Non questa volta".
Il problema è che i commenti fatti in queste ultime settimane, e i temi che
sono emersi,riflettono la complessità della questione razziale in questo paese,
che non abbiamo mai risolto - una parte della nostra unione che deve ancora
essere perfezionata. [...] La rabbia non è produttiva, anzi, troppo spesso
distrae l'attenzione dal risolvere i veri problemi. Ma la rabbia è reale, è
potente. Semplicemente desiderare che non ci sia, condannarla senza capire le
sue radici può servire solo ad aumentare il baratro di incomprensioni esistente
tra le razze."

La Clinton si è detta "felice" che Obama abbia affrontato l'argomento. John Kerry ha elogiato il discorso affermando che, da afro-americano, Obama è la persona maggiormente in grado di colmare il divario tra le razze. Claire McCaskill ha invece affermato "Per la prima volta, credo, un politico di colore ha parlato agli americani non come una vittima ma come un leader".
L'ex Speaker Repubblicano alla Camera Newt Gingrich ha invece giudicato il discorso di Obama "fondamentalmente disonesto" per il modo con cui ha glissato su Wright.

Ancora in gioco

di Mark Halperin e James Carney (TIME)


Hillary Clinton è spesso paragonata a Lady Macbeth (dai suoi detrattori) o alla fiera divinità romana Giunone (dai suoi sostenitori). Ma in questo periodo sembra più Cassandra, che tenta disperatamente di spiegare perchè rimane ancora in gioco per la nomination Democratica.
La Clinton è ben conscia delle difficoltà che deve affrontare nella battaglia contro Barack Obama. Sa che più si avvicina la convention Democratica, più i dissapori tra i due candidati minano le possibilità di Obama di vincere le elezioni presidenziali. rafforzando l'immagine dei Clinton come di una coppia malevola che farebbe di tutto per vincere, anche a danno del proprio partito.

Ma per i Clinton, ritirarsi è fuori discussione. "La mia famiglia non è molto brava nel tirarsi indietro" ha detto Bill Clinton in West Virginia il 26 marzo. Quando la Clinton chiude gli occhi, vede John McCain trionfare a novembre contro Obama, in una gara che lei crede di poter vincere. Come tutti i candidati competitivi, la Clinton è certa di di essere meglio del rivale, e si sente obbligata nei confronti dei suoi supporter ad andare avanti. "La gente che mi sostiene sicuramente non vuole finirla qui" ha detto al TIME mentre era in Pennsylvania "Mi dicono sempre che vogliono andare avanti. Vogliono che continui a lottare".

Che i sostenitori della Clinton la vogliano ancora in corsa è fuori di dubbio. Ma è anche irrilevante. Ed è per questo che la senatrice subisce la pressione di chi vuole che spieghi perchè ha deciso di andare avanti anche durante l'estate, a dispetto dell'insormontabile vantaggio di Obama tra i delegati elettivi "Per fare in modo che la tua decisione non sia vista da tutti come il comportamento di una persona che non sa perdere" ha detto un importante esponente Democratico "devi spiegare come intendi vincere. Ma nessuno può chiarire questo punto".
Infatti, le possibilità di una rimonta della Clinton sono remote. Anche se vincesse in maniera convincente le primarie del 22 aprile in Pennsylvania, e riuscisse a cavalcare l'onda della vittoria superando Obama anche in Indiana e North Carolina il 6 maggio, molto probabilmente resterebbe ancora alle spalle del rivale nella conta dei delegati. La notizia che nè Florida nè Michigan organizzaranno nuove primarie è un altro duro colpo per la Clinton.

Ma la Clinton non solo intende rimanere in corsa, lei e i suoi consiglieri stanno approntando una strategia che ritengono possa portare alla nomination. Si tratta essenzialmente di convincere i superdelegati che è troppo rischioso concedere una chance a Obama, che lei è l'unico candidato che può battere McCain. E' una mossa azzardata. Può funzionare ma, come molti Democratici si chiedono, a quale costo?
La questione del vincitore delle primarie non è di solito una cosa soggettiva. C'è un processo, complesso, attraverso cui i candidati conquistano delegati; dopo che l'ultimo stato ha votato, si conteggiano i delegati e chi ne ha di più vince la nomination. Quest'anno non è così. I due principali candidati hanno guadagnato entrambi un vasto numero di delegati, trovandosi in una situazione in cui nessuno dei due può realisticamente raggiungere il quorum richiesto per la nomination.
Vista questa insolita situazione, la Clinton ha colto l'occasione per spostare il focus non sui numeri ma sui sentimenti: chiedere ai superdelegati di prendere una decisione soggettiva riguardo il candidato con più possibilità di conquistare la Casa Bianca. Il primo elemento a suo favore è demografico "Le donne sono la maggioranza del mio elettorato" ha spiegato la Clinton al TIME "e vado forte tra gli ispanici, così come tra gli anziani. Dobbiamo ancorarci al nostro elettorato negli stati che dobbiamo conquistare, e credo di essere in una buona posizione per farlo".

C'è anche un'altra questione delicata, ovvero il fatto che Obama è pericolosamente debole in alcuni settori chiave. La Clinton ha sollevato la questione riguardo la capacità di Obama di di conquistare il voto delle classi operaie bianche in stati come Ohio e Pennsylvania e degli ispanici in New Mexico e Colorado - tutti stati in bilico e che probabilmente decideranno le presidenziali.
Poi c'è sempre la questione dell'esperienza. La Clinton pensa che il sostegno di Obama sia in larga parte un miraggio - una massa di illusi che lo potrà portare alla nomination, ma che non basterà a vincere le elezioni generali, quando l'incantesimo sarà spezzato dalle domande riguardo la sicurezza nazionale, la politica economica e l'esperienza.

Ma questo aargomento è diventato un boomerang in queste ultime settimane, quando la Clinton si è trovata sulla difensiva riguardo la sua esperienza da First Lady. E con imbarazzo ah dovuto ammettere che un viaggio in Bosnia nel 1996 è stato molto meno pericoloso e drammatico di quanto aveva voluto far credere.
Rimane perciò la speranza di trovare uno o due scheletri nell'armadio di Obama, in modo tale da renderlo impresentabile a novembre.

Sono queste tattiche a preoccupare maggiormente i Democratici, anche quelli non schierati. "Il problema" ha detto uno di loro "dell'idea che possa apparire misteriosamente qualcosa che metta fuori gioco Obama, è che l'unico modo in cui potrebbe misteriosamente apparire è se saranno i Clinton a farlo. Perciò la cosa che dovrebbe convincere la gente che Barack Obama non può vincere deve venire da Bill o Hillary Clinton.
Questo non sembra scoraggiare la senatrice. Un confidente ha detto "Questa donna non si tira mai indietro. Nè lei nè suo marito". Perciò non aspettatevi che questa corsa finisca presto.




Copyright © 2008 Time Inc. All rights reserved.

mercoledì 2 aprile 2008

Vademecum: i delegati, la convention e i candidati ritirati

Le scorse settimane Hillary Clinton, a chi le chiedeva come intendesse vincere la nomination visto che le è matematicamente impossibile recuperare il distacco tra i delegati elettivi, ha rilasciato una dichiarazione che ha spiazzato elettori, avversari e i suoi stessi collaboratori. Ha infatti ricordato che i delegati elettivi, una volta giunti alla convention nazionale, non sono obbligati a sostenere fino alla fine il candidato a cui sono stati assegnati, ma possono cambiare idea.
Questo è un segreto di Pulcinella nel già fallato sistema delle primarie Democratiche, e nessuno ci ha mai fatto caso perchè finora i nominati avevano sempre ottenuto un largo consenso, e c'era stato un accordo non scritto tra i candidati per rispettare il volere dell'elettorato.
E' successo in diverse occasioni che un candidato in svantaggio provasse a convincere i delegati del front-runner a cambiare idea, ma l'ultima volta risale al 1980, quando Ted Kennedy provò in questo modo a superare Jimmy Carter, inutilmente.

I collaboratori della Clinton hanno negato di fare pressioni sui delegati, ma hanno lasciato capire che se si andrà ad una convention aperta, punteranno anche su di loro per incrementare il bottino della senatice.

Vediamo quindi cosa prevede il regolamento delle primarie per i delegati elettivi:

I delegati pledged non sono obbligati a sostenere alla Convention il candidato per cui sono stati eletti. I delegati vanno alla Convention con il compito di sostenere un particolare candidato, e una volta lì si presume che rispetti l'impegno preso con l'elettorato, ma non è vincolato a farlo. Ovviamente un cambiamento di posizione deve essere ben giustificato e non è accaduto quasi mai, tuttavia le Delegates Selection Rules dicono, testualmetne, che i delegati devono "in buona coscienza, riflettere il sentimento di chi li ha eletti", e perciò il cosiddetto "switch" deve avvenire solo per fondate ragioni, ad esempio quando l'immagine e l'eleggibilità di un candidato viene seriamente compromessa (da scandali o gaffe, ad esempio) tra le primarie e la convention. Questa regola fa sì che la Convention sia un organismo deliberativo e non solo ratificativo, e che prenda atto dei cambiamenti che possono avvenire nei mesi che passato tra il voto negli stati e le Presidenziali.

Un'altra questione riguarda i delegati dei candidati che si sono ritirati dalla corsa. Se un candidato si ritira dopo che gli sono stati ufficialmente assegnati dei delegati, può mantenere questi delegati e dare loro un indicazione di voto (che però non è vincolante) oppure lasciare loro libertà di scelta. Se i delegati sono stati eletti ma non ufficialmente assegnati dalla convention statale prima del ritiro del candidato, verranno assegnati ai candidati ancora in gara (es. in Iowa, John Edwards aveva ricevuto dei delegati dai caucus, ma si è ritirato prima della convention e quindi alcuni dei suoi delegati sono andati a Obama).

L'ultima questione regolamentare riguarda Michigan e Florida. I due stati hanno due possibilità per essere rappresentati alla Convention

1- Possono fare appello alla Convention Credentials Committee, che determina e risolve ogni questione pendente riguardante i delegati. Il comitato si riunisce tra luglio e agosto.

2- I due stati possono scegliere di ripetere il processo di selezione, in un modo da decidersi assieme al DNC, ma devono farlo entro il secondo martedì di giugno.

Guida alla scelta del vicepresidente

In questi giorni, il gioco preferito a Washington è cercare di indovinare chi sceglierà John McCain come candidato alla vicepresidenza.
La giornalista Katie Couric della CBS ha condotto un'inchiesta tra i pezzi da 90 di entrambi i partiti per svelare i dietro le quinte della ricerca.
L'ex capo dello staff di Ronald Reagan, Ken Duberstain, ha detto che il ruolo del vicepresidente è quello di agire come "uno sherpa, una guida. Ci sono quattro prove che un vicepresidente deve superare, le quattro C: competenza, chimica, credibilità e compatibilità"
"La prima cosa da fare è cercare un candidato che non ti danneggi" ha spiegato l'ex leader Democratico al Senato George Mitchell.
Una sorta di giuramento di Ippocrate, lo definisce la Couric.
"Un candidato che non intralci le possibilità di vittoria e che ovviamente dia una mano" spiega Mitchell.

Considerata l'età di McCain - e la sua esperienza sulla sicurezza nazionale - è probabile che voglia cercare qualcuno con un profilo diverso dal suo.
"Ha bisogno di qualcuno che abbia l'equivalente dell'esperienza di McCain in politica estera e sicurezza nazionale declinato sul versante della politica interna" dice Duberstein.
Anche se IL nome non verrà fatto prima di alcuni mesi, I nomi dei papabili circolano già.

Potrebbe essere qualcuno che ha fatto campagna per McCain, come il governatore del Minnesota Tim Pawlenty o l'ex rappresentante dell'Ohio Rob Portman. O al contrario un ex rivale come Mitt Romney.
"La scelta del vicepresidente è assolutamente critica perchè dice molto riguardo le capacità di giudizio di un candidato alla presidenza" spiega Duberstein.

La geografia era un criterio importante per Franklin Delano Roosevelt, che ebbe tre diversi vice nei suoi quattro mandati. "Si dice che Roosevelt scegliesse un vice diverso ogni quattro anni - la maggior parte dei quali sconosciuti - solo perchè voleva vincere uno stato" ha detto lo storico Douglas Brinkley.

L'unità del partito fu invece vitale per il centrista Dwight Eisenhower quando scelse Richard Nixon.
"Non gli piaceva Nixon" spiega Brinkley "Erano incompatibili, ma aveva bisogno di lui perchè era appoggiato dalla destra del partito".

Nel caso di Bill Clinton e Al Gore nel 1992, due candidati simili formarono una coppia vincente.
"Erano della stessa religione" ricorda Brinkley "entrambi giovani, ma la combinazione di gioventù ed energia fu un fattore enormemente positivo".

Nel 2000, fu l'uomo incaricato da George W. Bush di cercare il candidato giusto ad ottenere il posto.

E a volte i rivali nelle primarie diventano alleati cruciali nelle presidenziali.
"Senza Lyndon Johnson come VP, probabilmente Kennedy non avrebbe vinto" sostiene Brinkley.

Molti sperano ancora che possa succedere anche con i due candidati Democratici ancora in corsa, anche se sembra sempre meno probabile ogni giorno che passa.
Come sarebbe un ticket Obama/Clinton o Clinton/Obama?
"Credo che avrebbe un grandissimo appeal" dice Mitchell "Se i Democratici ritenessero questo il miglior ticket possibile, e uno dei due mettesse da parte le ragioni personali, questo avrebbe un effetto sul suo futuro nel partito".

Ma sono già sul tavolo altri nomi.
Per Obama si parla di esperti in sicurezza nazionale come Jim Webb o il Generale Anthony Zinni, o uomini con esperienza di governo come Michael Bloomberg.
Per la Clinton, il Governatore di uno stato cruciale, come Ted Strickland dell'Ohio o Ed Rendell della Pennsylvania.
O lo stesso Mitchell.
La Couric lo ha chiesto a Mitchell, che ha risposto "Date tutte le circostanze, le probabilità che io sia scelto come vicepresidente sono le stesse che lei venga scelta da McCain".

martedì 1 aprile 2008

Una nuova soluzione per il Michigan

Il Rappresentante del Michigan Bart Stupak (nella foto), Democratico, ha proposto ieri un piano alternativo per fare in modo che i delegati dello stati possano partecipare alla convention di Denver in cui si decidederà la nomination del DNC.
Il piano prevede di assegnare i delegati basandosi in parte sul voto del 15 gennaio e il parte sui risultati generali delle primarie.

Come noto, il Michigan, al pari della Florda, ha perso i propri delegati per aver tenuto le primarie al di fuori del periodo stabilito dal partito.

Stupak, in una lettera a Howard Dean, ha proposto che 83 dei delegati del Michigan siano ripartiti basandosi sui risultati di gennaio: la Clinton in quell'occasione prese il 55% dei voti, e quindi avrebbe 47 delegati. A Obama andrebbero 36 delegati, ovvero gli sarebbe assegnato in toto il 40% dei voti "uncommitted" (il nome di Obama, come quello di Edwards, non era presente sulle schede).
I restanti 73 delegati sarebbero invece ripartiti basandosi sulla percentuale del voto popolare in tutti gli stati alla fine delle primarie.

"L'ultima cosa che dobbiamo fare è scoraggiare gli elettori" ha scritto Stupak "e ho sentito numerosi Democratici e indipendenti frustrati perchè il loro voto viene ignorato".
Stupak inizialmente ha appoggiato Edwards, ed è poi rimasto neutrale dopo il ritiro del senatore della North Carolina.

Trascinandosi verso Denver

di Noam Scheiber (The New Republic)


Quando pensano all'Apocalisse, i Democratici vedono Hillary Clinton e Barack Obama che si sfidano come Ted Kennedy e Jimmy Carter alla convention del 1980. La traiettoria di queste primarie è infatti pericolosamente simile a quella che produsse effetti disastrosi. Carter aveva costruito una solida leadership tra i delegati vincendo in iowa, New Hampshire e stati del Sud, ma più in là Kennedy conquistò alcuni stati maggiori. Alla fine delle votazioni, Kennedy era a un soffio da Carter e guardava alla convention con fiducia.
Kennedy adottò tutte le tattiche possibili per seminare zizzania tra Carter e i suoi delegati e convincere questi ultimi a non seguire il loro vincolo, una strategia che al tempo stesso funzionò fin troppo bene ma non abbastanza bene. Kennedy conquistò la maggior parte dei delegati unpledged e indecisi, ma la nomination andò a Carter.

L'immagine emblematicadi quella convention è una foto che raffigura Kennedy e Carter sul palco del Madison Square Garden: Carter è voltato verso Kennedy e aspetta un gesto di unità, ma Kennedy gli dà le spalle e va nella direzione opposta.

Non è concepibile che i Democratici vogliano ripetere questo spettacolo a Denver. E' vero che Obama e la Clinton non sono separati dalle divisioni ideologiche di Carter e Kennedy, ma proprio per le molte affinità fra loro, è maggiore la tentazione di creare divisioni su basi razziali o di genere.
La buona notizia è che una dura battaglia convention si può prevenire: tutti sanno che uno scenario così drammatico va evitato. La cattiva notizia è ciò che non si può prevenire: che la lotta vada avanti fino a giugno. Anche senza arrivare alla convention, la traiettoria di queste primarie può distruggere le aspirazioni presidenziali del partito.


I Democratici non sono famosi per avere una razionalità degna di Spock, ma persino loro capiscono che bisogna evitare una convention fallimentare.

C'è un movimento in atto, quello dei superdelegati verso il probabile vincitore. "Penso che una volta che avremo la conta finale dei delegati, le cose si risolveranno velocemene" assicura il rappresentante Chris Van Hollen. Questo vuol dire che i Democratici non aspetteranno molto dopo il 3 giugno, ma anche che non ci sono chances di risolvere la questione prima, come invece vorrebbero molti leader come Nancy Pelosi, spaventati dalla possibilità che i superdelegati risultino decisivi.

Il problema è che ogni giorno che la Clinton e Obama passano ad attaccarsi, è un giorno che avvicina John McCain alla Casa Bianca.
I Democratici dovrebbero sfruttare le tensioni tra McCain e la base conservatrice dei Repubblicani, sottolineando le affermazioni anti-cattoliche e omofobiche del pastore evangelista John Hagee, che appoggia il senatore. Dovrebbero ridicolizzare il suo cambiamento di posizione sulla riforma fiscale di Bush.
Invece avviene tutto il contrario: i legami di McCain con la destra rimangono nascosti, mentre i panni sporchi dei Democratici vengono lavati in pubblico.

Alla fine di febbraio, un sondaggio Gallup dava Obama in vantaggio di 15 punti su McCain tra gli indipendenti. Il 6 marzo, McCain era avanti di dieci punti - prima delle polemiche sul Reverendo Wright - e anche la Clinton aveva perso 15 punti tra gli indipendenti.
Se McCain dovrà affrontare Obama, avrà un altro vantaggio: se la vedrà con un candidato indebolito dagli stessi Democratici.

In una dichiarazione, la Clinton per attaccare Obama ha esaltato l'esperienza di McCain. Questo è stato percepito da molti - e da entrambi gli schieramenti - come un'ammissione che McCain sarebbe un presidente migliore di Obama. Una bomba atomica elettorale.

D'altronde è fatale che, quando la campagna diventa insolitamente lunga, non ci sia altro da fare che attaccare il diretto rivale. E' per questo che Nancy Pelosi ha stretto un patto informale con i colleghi, per intervenire direttamente se i toni dovessero inasprirsi ancora di più. Ma questo patto ha un difetto: se i leader non possono intervenire prima che sia avvenuto un serio danno, quando interverranno il danno sarà già fatto.
Peggio ancora, ogni missile che colpisce l'obiettivo distrugge anche chi lo ha lanciato. Ad esempio, l'unico modo con cui la Clinton può conquistare i superdelegati e ottenere la nomination è distruggere la credibilità di Obama. Ma così facendo scoraggerà gli elettori afro-americani dal votarla a novembre, e Hillary non può pensare di battere McCain senza un forte sostegno nero a Cleveland, Detroit o Philadelphia.

Sfortunatamente per chi vuole che la gara finisca presto, ci sono numerosi intoppi. Hillary dovrebbe farsi da parte, un'eventualità altamente improbabile in ogni caso, ma specialmente con i casi di Michigan e Florida ancora in ballo. E nel frattempo lei potrebbe recuperare in stati come l'Indiana o la North Carolina.

Per riassumere: lo scenario più ottimistico dipende da presupposti altamente improbabili, e resta comunque difficile, e ugualmente trascinerebbe lo scontro per altre sei brutali settimane.

Il sogno non è ancora morto, ma ha visto giorni migliori.

lunedì 31 marzo 2008

Mario Cuomo appoggia il dream ticket


Mario Cuomo, l'ex Governatore di New York, influente ed amato esponente Democratico, ha scritto una lettera aperta al Boston Globe spiegando la sua soluzione per evitare una faida interna al partito. Ecco i brani più significativi dell'editoriale.



Come evitare un disastro Democratico

di Mario M. Cuomo

E' in agguato un disastro Democratico alle elezioni di Novembre, ma può ancora essere evitato con una dimostrazione di vera leadership da parte dei due candidati.
Alla fine delle primarie, non importa con quale massiccia affluenza, meno della metà di tutti gli elettori Democratici avranno espresso la loro preferenza. E poichè le primarie si estendono per un periodo così lungo, alcuni elettori avranno cambiato idea alla convention di agosto. Altre complicazioni minacciano la possibilità che la convention arrivi ad una soluzione pacifica tra HIllary Clinton e Barack Obama. Due stati importanti per i Democratici - Florida e Michigan - potrebbero non avere voce in capitolo, e il ruolo dei superdelegati può diventare materia di un contenzioso irrisolvibile.
Mentre i Democratici si avvicinano alla fine delle primarie senza una chiara scelta, e con una crescente alienazione tra i due candidati, il nominato Repubblicano John McCain acquista forza indisturbato.

Obama sostiene di avere vinto più delegati, più stati, più voti, e sostiene anche che i superdelegati siano "moralmente obbligati" a votare per chi ha il maggior numero di delegati.
La Clinton sostiene che il partito deve trovare il modo di coinvolgere Florida e Michigan, stati in cui la Clinton ha vinto, e ricorda che i superdelegati sono stati creati per sorpassare il voto popolare in modo da scegliere il candidato maggiormente in grado di vincere. I recenti sondaggi evidenziano che i due candidati sono appaiati nel gradimento, ma la Clinton ha maggiori possibilità di vincere nei grandi stati.
Ma i sondaggi dimostrano anche che se la battaglia prosegue fino alla convention, una gran parte dei sostenitori del candidato sconfitto non voterà per i Democratici. Questo porterebbe ad un proseguimento del "Bushismo" e a una continuazione indefinita della tragica guerra in Iraq.

Di chi è la colpa?

Dei Democratici.

Chi può risolvere il problema?

Obama e la Clinton possono - mettendo da parte le acredini personali, e in una certa misura le aspirazioni, e accordandosi per mettere fine alle ostilità e formare un ticket che offra un presidente, e un vicepresidente che sarebbe in grado di essere presidente se se ne presentasse l'occasione. Quel candidato vice avrebbe inoltre buone possibilità di essere eletto presidente per i successivi otto anni, poichè nessuno dei due sarà troppo vecchio nel 2016.
Se non sono in grado di farlo, potrebbero annunciare sin da ora che completeranno il calendario delle primarie e che il vincitore diventerà candidato presidente e l'altro accetterà di candidarsi come vice, in modo da non alienare gli elettori del candidato che non otterrà la nomination.

Pensateci, per i prossimi otto anni potremmo eleggere sia la prima donna che il primo afro-americano. Non è un sogno, è una possibilità plausibile, raggiungibile e gloriosa - se i due candidati avranno la forza e la saggezza di volerlo. La loro unione esalterà la nazione e farà il giro del mondo.
Se, però, i candidati rifiuteranno di trovare un modo per mantenere unito l'elettorato alle presidenziali, le primarie 2008 saranno la storia di una enorme occasione sprecata per riportare la nostra nazione sul giusto sentiero, lasciandoci in Iraq e in mano ad un governo mediocre.

© Copyright 2008 Globe Newspaper Company.

La proposta del DNC: Hillary Clinton Governatore di New York

Newsweek dedica quasi interamente la pagina politica dell'ultimo numero alla crescente preoccupazione dei Democratici per la sfida potenzialmente infinita e fratricida tra Obama e Hillary Clinton.
Il partito starebbe premendo un per un ritiro della Clinton prima delle elezioni in Pennsylvania: la paura è che una vittoria netta della senatrice il 22 aprile possa portarla a guadagnare un "momentum"che le farebbe ottenere buoni risultati anche in Indiana (improbabile), North Carolina (possibile), Oregon e Kentucky (probabile) a maggio. Queste vittorie non le permetterebbero di superare il rivale nella conta dei delegati, ma avrebbe l'unico effetto di appannare l'immagine vincente di Obama. A questo punto il DNC dovrebbe decidere se dare la nomination a un candidato in affanno o a uno che ha di fatto perso le primarie.

Negli ultimi giorni, e per la prima volta, alcuni superdelegati (non solo tra i sostenitori di Obama) hanno espressamente chiesto alla Clinton di farsi da parte. E anche se Obama ha dichiarato che "la Clinton può restare in corsa fin quando vuole" dicendosi sicuro della nomination, Bill Clinton si è risentito con i colleghi di partito, invitandoli a "rilassarsi, perchè nessuno vuole spaccare il partito, e ovunque andiamo la gente ci dice di non azzardarci a ritirarci".

L'ultima ipotesi allo studio, è quella di un premio di consolazione per Hillary, rappresentato dalla poltrona di Governatore di New York.
Dopo le dimissioni di Eliot Spitzer, la guida dello stato è passata al suo vice David Paterson. In molti la giudicano però una scelta provvisoria, non tanto perchè Paterson è un afro-americano non vedente, ma perchè non sembra in grado di garantire una leadership forte (dopo il giuramente ha ammesso che sia lui che la moglie hanno avuto relazioni extraconiugali, e ha confessato di aver fatto uso di cocaina).
Il Partito potrebbe quindi spingere per le dimissioni di Paterson e candidare Hillary (forse contro Rudolph Giuliani) già a novembre.

La Clinton, che ha già rifiutato il posto di Speaker al Senato, ha fatto sapere di non voler accettare niente di meno della nomination, e ha accusato i leader del partito di comportarsi da "bulli", e in questi giorni ha ribadito quasi quotidianamente di non avere intenzione di farsi da parte

domenica 30 marzo 2008

La Pelosi rimproverata dai sostenitori della Clinton

La settimana scorsa, Nancy Pelosi aveva detto "Se i superdelegati contraddicessero la volontà popolare, sarebbe un grave danno per il partito", una dichiarazione letta come un implicito sostegno ad Obama, o comunque dettata dalla voglia di chiudere al più presto la pratica della nomination.
Non si è fatta attendere la replica, per bocca di alcuni dei maggiori responsabili della raccolta fondi di Hillary Clinton, che hanno inviato una lettera aperta alla Speaker Democratica, lettera riportata dal Washington Post.

"Ha suggerito che i superdelegati abbiano l'obbligo di sostenere il candidato che avrà il maggior numero di delegati elettivi al 3 giugno, sia che il vantaggio sia di 550 o di 2" si può leggere nella lettera "Questa è una posizione insostenibile che contraddice le finalità con cui il partito ha introdotto la figura dei superdelegati".
Dando per scontato che, al 3 giugno, nè la Clinton nè Obama avranno raggiunto la cifra di 2.024 delegati necessari per la nomination (il quorum si è abbassato di un voto, dopo le dimissioni del Governatore di New York Spitzer) gli autori della lettera hanno chiesto alla Pelosi "di chiarire la sua posizionee dare spazio alla possibilità di una posizione indipendente dei superdelegati alla convention di agosto".

La Clinton, in un'intervista, ha ricordato che anche i delegati elettivi non sono legalmente vincolati al candidato per cui sono stati eletti, lasciando intendere che, se da qui ad agosto l'eleggibilità di Obama dovesse per qualche motivo essere messa in discussione, anche ai pledged potrebbe venire chiesto di esercitare il libero arbitrio.

Il portavoce della Pelosi ha replicato che la Speaker non ha appoggiato nessuno dei due candidati, e che è consapevole dell'indipendenza di giudizio dei superdelegati, ma che "sarebbe un grave danno per il partito se passasse la sensazione che i superdelegati possano surclassare il voto popolare. Questa è la sua posizione dall'inizio delle primarie, a prescindere dai risultati".

Bill Burton, portavoce di Obama, ha stigmatizzato la lettera, vedendola come una implicita minaccia di sottrarre fondi al partito.
Robert L. Johnson, uno degli autori della lettera, ha poi precisato che non ci sarà nessun effetto negativo sulla raccolta di fondi da parte del DNC.

Obama e la Clinton criticano McCain a proposito di tasse

Barack Obama torna a puntare il suo obiettivo in casa Repubblicana (a seguito, forse, di un accordo di tregua siglato con Hillary Clinton durante la seduta al senato di giovedì scorso: i due sono stati visti parlare a lungo e cordialmente).
Obama ha accusato McCain di aver cambiato la propria posizione a proposito del taglio di tasse approvato dall'amministrazione Bush.
Criticando la proposta del Gop di estendere i tagli e eliminare le tasse sul patrimonio, Obama ha detto "Queste sono proposte che McCain stesso in un primo momento definì irresponsabili. Adesso ha deciso di cambiare idea. E' in questo modo, ritengo, che ha potuto ottenere la nomination repubblicana, ma aveva ragione prima e ha torto adesso".

McCain ha detto che il suo ripensamento sull'argomento è dovuto al fatto che, con l'attuale crisi economica, un taglio alle tasse potrebbe stimolare la crescita.
Obama ha invece proposto una serie di misure a sostegno delle scuole e della sanità, e degli ammortizzatori per i costi che incidono sul ceto medio. Ha detto che le spese saranno coperte da maggior rigore riguardo i condoni, da una tassa sulle emissioni di carbone, dal ritiro delle truppe dall'Iraq e dall'abolizione dei tagli alle tasse sui patrimoni più ingenti voluta da Bush.
"Abbiamo identificato i tagli che pensiamo siano fattibili, e i cambiamenti del nostro sistema fiscale che saranno in grado di sostenere il taglio delle tasse al ceto medio e i fondi per l'educazione superiore".
Ha poi precisato che se non trovasse le coperture per finanziare i suoi progetti, rinuncerebbe a portarli avanti e cercherebbe misure alternative.

Dal canto suo, Hillary Clinton ha accusato il programma economico di McCain di non fare "assolutamente niente sulla crisi dei crediti e sul problema della casa. Preferisce ignorare la crisi e la questione dei mutui - o incolpare la classe media piuttosto che trovare soluzioni".
In settimana, dopo pressanti richieste di far conoscere i suoi piani sulla delicata questione dei mutui, la campagna di McCain ha rilasciato una nota in cui si dice che "il problema è complesso e merita un approccio cauto ed equilibrato che aiuti i proprietari e non le banche e gli speculatori", accusando poi i candidati Democratici di voler stanziare diversi milioni di dollari anche per le banche.