sabato 29 marzo 2008

Axelrod: la Clinton farebbe di tutto per vincere

Come ampiamente preventivato, dopo gli attacchi diretti ad Obama da parte della Clinton all'inizio di marzo, ora è il turno del senatore dell'Illinois a giocare duro con la sua avversaria, in una lotta che sembra sempre più lontana da una soluzione, e soprattutto, sempre più dannosa per i Democratici.
Daniel Axelrod, consigliere capo della campagna elettorale di Obama non ha dubbi "Farebbero di tutto per vincere, e intendo proprio tutto" ha riferito ad un giornalista del The Politico, riferendosi alla Clinton e al suo staff "Si stanno muovendo in ogni modo per appropriarsi della nomination. La Clinton è la classica insider di Washington. Chiede sempre 'come facciamo ad assicurarci questo voto? Come possiamo manipolare il sistema in modo da vincere?'. All'inizio della campagna, dicevano che la cosa importante erano i delegati. Adesso che abbiamo più delegati, la cosa importante è il voto popolare. E se non funziona neanche così, probabilmente ci sfideranno a Scarabeo per decidere la nomination".
Un altro collaboratore di Obama, rimasto anonimo, ha detto che l'impressione che si ha è che la Clinton sia disposta a distruggere il partito fin quando non avrà la nomination.

Howard Wolfson, direttore della comunicazione della Clinton, ha replicato "Queste frasi apocalittiche ci aiutano. Non mi sembra che qualcuno voglia distruggere il partito, c'è un processo democratico da portare avanti, un processo che non è finito. Di cosa hanno paura? La democrazia deve fare il suo corso"

Joe Lieberman, la spalla bipartisan di McCain

di Jonathan Martin (The Politico)


Dovunque John McCain vada in questi giorni, Joe Lieberman è lì.
Quando McCain in Giordania ha avuto bisogno che qualcuno gli ricordasse le esatte definizioni dei terroristi irakeni che ricevevano aiuti dall'Iran (inizialmente aveva confuso gli sciiti con Al Qaeda) Lieberman era lì a sussurrargli nell'orecchio la risposta esatta.
Il giorno dopo, il senatore del Connecticut ha nuovamente aiutato McCain spiegandogli il significato della festa ebra del Purim.

In una campagna elettorale in cui McCain punta all'elettorato indipendente, esasperato dall'amministrazione Bush, Lieberman, ex Democratico e candidato alla vicepresidenza nel 2000 con Al Gore, è diventato il simbolo vivente della mentalità bipartisan del senatore dell'Arizona.

Nel 2000, un'alleanza McCain-Lieberman sarebbe stata impensabile. McCain correva per la nomination nelle primarie Repubblicane, Lieberman era uno dei più importanti esponenti Democratici, un apprezzato centrista la cui scelta come candidato vicepresidente fu accolta da un coro di lodi.

Ma le tendenze da falco in politica estera, hanno messo Lieberman ai margini partito, fatto sottolineato dalla provocatoria partecipazione alle primarie del 2004. Il suo sostegno alla guerra in Iraq lo hanno isolato, e nel 2006 il partito ha scelto un altro candidato per il Connecticut. Lieberman ha ottenuto la rielezione, ma da indipendente.
Anche se inizialmente aveva dichiarato di voler restare fuori dalla campagna 2008, Lieberman è stato convinto dall'appeal di McCain, che gli ha chiesto il sostegno ufficiale alla vigilia della primarie in New Hampshire, aperte a Democratici e indipendenti.
Ma anche nelle tornate successive, come in South Carolina e soprattutto in Florida, Lieberman è rimasto al fianco del senatore dell'Arizona.
Nessun altro esponente politico, a parte il "delfino" di McCain Lindsey Graham, ha avuto una simile importanza nella campagna elettorale del candidato Repubblicano.

E ora che ha di nuovo un ruolo centrale nella politica, si parla del ruolo che avrà Lieberman nella possibile amministrazione McCain, probabilmente come segretario alla Difesa, o comunque in un posto di alto profilo sulla politica estera.
Anche i consiglieri di McCain tengono in grande conto la figura di Lieberman e assicurano che avrà un ruolo importante nelle presidenziali "Contraddice la caricatura che i Democratici fanno di McCain" ha spiegato Mark Salter, già capo dello staff di McCain.

Infatti mentre i Democratici cercano di raffigurare un'elezione di McCain come un "terzo mandato di Bush", l'appoggio di Lieberman svuota di valore questa affermazione, secondo Salter.
"E' una storia di personalità e coraggio" spiega Charlie Black, un altro esponente di punta dello staff di McCain, riferendosi al percorso di Lieberman, da candidato vicepresidente Democratico a sostenitore del campione del GOP "e rafforza la personalità e il coraggio di McCain. Questo endorsement non poteva avvenire per un altro Repubblicano" aggiunge, riferendosi ala distanza tra McCain e la base conservatrice del partito.
Ma non sarebbe avvenuto neanche senza i dissidi tra Lieberman e il suo ex partito.

"Chiaramente quell'esperienza è stata un punto di svolta per la carriera politica di Lieberman" ha detto Will Marshall, già co-fondatore del comitato per la leadership Democratica di Lieberman "Quell'esperienza lo ha reso libero di seguire la sua coscienza su altre questioni politiche"


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venerdì 28 marzo 2008

Sondaggi: McCain vola, Obama giù, Hillary crolla

Gli ultimi sondaggi condotti sul gradimento dei tre candidati ancora in gara confermano i peggiori sospetti sull'appeal dei Democratici in questa fase della corsa. Non solo il gradimento generale di Obama e della Clinton è in calo, ma addirittura molti elettori Democratici, delusi dal loro partito, ammettono di prendere in considerazione l'ipotesi di votare per McCain.
Andiamo con ordine: un sondaggio condotto da Wall Street Journal e Nbc News (i risultati completi li trovate qui) mostra che la durezza della campagna elettorale democratica incide su entrambi i candidati, ma soprattutto su Hillary Clinton.

Il gradimento personale sulla senatrice di New York è nettamente calato, e coloro che hanno di lei un'opinione negativa rappresentano ora il 48% (il dato più alto finora registrato) contro il 37% che ha un'opinione del tutto positiva, in calo di 8 punti rispetto al 45% di due settimane fa.
Su un calo così drastico potrebbero aver inciso le polemiche riguardo il presunto ruolo della Clinton in alcuni importanti scenari esteri: come riportato nelle scorse settimane, la Clinton aveva sovradimensionato il suo apporto da First Lady in alcune trattative, soprattutto in Irlanda del Nord e Bosnia. Di fronte a ricostruzioni di segno opposto da parte di ex-ambasciatori e diplomatici dell'amministrazione di Bill Clinton, Hillary ha ammesso di aver sbagliato.

Neanche Obama è immune da un calo di popolarità, e in questo caso la ragione sta principalmente nella vicenda del Reverendo Wright. Obama riceve pareri positivi dal 49% degli elettori Democratici (in calo di un punto rispetto al precedente sondaggio), mentre i pareri negativi rappresentano il 32%. Tutto sommato i sostenitori di Obama possono tirare un sospiro di sollievo, perchè c'era il timore che il caso-Wright posesse causare danni ben più gravi.
In un testa a testa per la nomination, sono entrambi al 45%, mentre nello scontro con McCain la Clinton è indietro di 2 punti, mentre Obama è avanti di 2 punti, in un sondaggio che però ha un margine di errore di 4 punti.

Un sondaggio della CNN si concentra invece sugli elettori Democratici che potrebbero votare per McCain qualora il loro candidato di riferimento non ottenesse la nomination. Il 41% dei sostenitori di Barack Obama afferma che sarebbe insoddisfatto della nomination della Clinton (contro il 26% di un analogo sondaggio condotto a febbraio).
Se Obama vincesse la nomination, il 51% dei supporter della Clinton sarebbe insoddisfatto (contro il 35% di febbraio).
Commentando il sondaggio, Howard Dean ha detto "L'unica cosa che può portare McCain alla Casa Bianca è una spaccatura tra i Democratici".
Un sondaggio Gallup rivela che il 19% dei sostenitori di Obama potrebbe votare McCain se la Clinton ottenesse la nomination. Se Obama ottenesse la nomination, il 28% dei sostenitori della Clinton voterebbe McCain.
L'ultima volta che un così alto numero di Democratici si è dichiarato pronto a votare un Repubblicano, risale agli anni di Reagan, con il 25% nel 1980 e il 26% nel 1984. Subito dopo la diffusione di questo sondaggio, la Clinton ha rilasciato un comunicato (che va a chiarire una sua affermazione riguardo il fatto che McCain sarebbe un presidente migliore di Obama) chiedendo ai Democratici di non votare McCain, comunque vada a finire la sfida in casa Dem.
Al di là dei veleni tra i candidati Democratici, il sondaggio della CNN rileva che i Democratici apprezzano la figura di McCain, ma sono divisi anche in questo: il 44% lo apprezza, il 42% no.
Sul fronte opposto, il 19% dei Repubblicani dice di apprezzare la Clinton, contro l'80% che non la apprezza. Il 35% invece apprezza Obama contro il 53% che non lo apprezza.

"Barry" Obama uomo copertina di Newsweek

Obama finisce nuovamente sulla copertina di Newsweek, ma questa volta il prestigioso settimanale si concentra sul periodo della sua vita in cui decise di essere chiamato con il suo vero nome anzichè con il nomignolo "Barry".
Accadde quando frequentava l'Occidental College, e alcuni amici iniziarono a chiamarlo Barack. Sua sorella Maya ricorda che Obama tornò a casa per le vacanze di Natale del 1980 e comunicò a sua madre che non voleva più essere chiamato Barry. Maya ricorda anche che i nonni materni, che lo avevano cresciuti, si opposero a questa scelta e continuarono ancora per molto a chiamarlo "Bar".
Fino a quel momento, Obama aveva seguito le orme del padre: anch'egli si chiamava Barack e, una volta giunto in USA dal Kenya, aveva preso il nomignolo Barry, secondo una tradizione tipica degli immigrati: i Matthias diventano Matt, le Hanneke diventano Johanna e così via.

Obama decise però di non proseguire su quella strada, e questa è una parte importante, secondo il Newsweek, del percorso di autocoscienza attraverso cui il giovane Barack provò a scoprire chi fosse realmente e quale fosse il suo posto nella società americana: figlio di un nero e di una bianca, cresciuto tra le Hawaii e l'Indonesia, da famiglie di religioni e culture diverse, visto dagli altri in modo diverso da come si vedeva lui.
"Voleva essere preso sul serio ma non nel modo della generazione di suo padre" scrive il settimanale "forse voleva ribellarsi ai compromessi che ci si attendeva dai neri e dalle minoranze in una società bianca. Ma più in generale, cercava una comunità che lo accettasse per ciò che era"

Questa ricerca dell'identità lo portò ad integrarsi nella società nera che lui, cresciuto alle Hawaii, non aveva mai conosciuto. Si trovò diviso tra un padre spirituale, il reverendo Wright, che vagheggiava di cospirazioni planetarie per emarginare i neri, e una famiglia materna bianca che, come ha ricordato nel suo discorso di Philadelphia, spesso utilizzava stereotipi razzisti che lo facevano morire di vergogna.
I Conservatori mettono in dubbio la sua lealtà all'America, ma lui risponde con i fatti, essendo una persona con la rara qualità di poter vedere gli USA da una prospettiva del tutto particolare.

Le prime domande sulla sua identità provengono dalla permanenza in Indonesia, un passaggio fondamentale per un bambino di 6 anni fino a quel momento vissuto nel comfort delle Hawaii, e ora costretto a trovarsi a contatto con lebbrosi e mendicanti.
Nella sua autobiografia, Obama racconta di quando per la prima volta comprese che il suo colore rappresentava un fardello, leggendo la storia di un nero che aveva cercato di schiarirsi chimicamente la pelle.
Quando la madre si accorse che la poverà e la corruzione dell'Indonesia avevano un effetto negativo sulla crescita del figlio, rimandò Obama alle Hawaii. Lì tutti sembravano far parte di una minoranza, e il colore della pelle non era importante.


Il combattimento interiore arrivò quando si trasferì al college, a Los Angeles. Fu importante per Obama l'amicizia con Eric Moore, un altro studente afro-americano. Nel 1980 Moore fece un viaggio in Africa alla ricerca delle sue origini, e il suo racconto influenzò molto Barack, contribuendo alla decisione di farsi chiamare con il suo vero nome.
"Barry" era solo un compromesso, un modo per facilitare le cose in una società che non era per niente facile.
Un altro passo importante fu il trasferimento a New York, dove per due anni condusse una "esistenza ermetica", senza svaghi ma solo tra sutdio, libri e politica, perdendo però i contatti con i vecchi amici.
Moore racconta che 15 anni dopo, passando per Chicago, si imbattè in una raccolta fondi per Obama, e solo allora riuscì a rimettersi in contatto col vecchio compagno di college.


L'assenza della figura paterna ha pesato molto sul giovane Obama. Newsweek racconta che Barack per molto tempo ha raccolto aneddoti e storie relative a suo padre, per farsi un'idea di lui. Un episodio in particolare, riportato dai nonni materni, vede Barry sr. vittima del razzismo di un avventore di un bar a Waikiki. Barry sr. anzichè litigare, sorrise e parlò all'uomo della follia del razzismo e della grandezza del sogno americano e dell'universalità dei diritti dell'uomo. Secondo il nonno di Obama, l'uomo diede a Barry sr. 100 dollari per scusarsi.
Barack è stato per molto tempo scettico su questa storia, fin quando non si imbattè in un compagno di classe del padre quando era alle Hawaii, che raccontò la stessa identica storia.

giovedì 27 marzo 2008

Se la nomination è assicurata, perchè Obama e il suo staff continuano ad attaccare la Clinton?

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di Mark Halperin


  1. Vogliono sfruttare più che possono i punti deboli della Clinton, cercando di bloccare il suo consenso crescente nei sondaggi su un possibile confronto tra lei e McCain, perchè sanno che la Clinton userebbe quei sondaggi sull'eleggibilità per convincere i superdelegati.

  2. Vogliono spostare l'attenzione dei media dal Revedendo Wright.

  3. Vogliono dimostrare che sono dei duri (a loro stessi, ai Repubblicani e ai superdelegati indecisi).

  4. Vogliono far capire alla Clinton che rimanere in corsa ha un costo.

  5. Vogliono ricordare ai superdelegati che la Clinton, se ottenesse la nomination, dovrebbe affrontare attacchi molto duri in campagna elettorale.

  6. Vogliono rafforzare il consenso di Obama tra i bianchi giocando ad arte la carta-Lewinsky (come quando hanno raccontato le circostanze che hanno portato Bill Clinton a farsi fotografare con il Reverendo Wright alla Casa Bianca).

  7. Sono arrabbiati con la Clinton e il suo staff.

  8. Pensano - contrariamente a tutti i media - che la Clinton può ancora superarli.

  9. Perchè possono: i media continuano ad evidenziare negativamente le tattiche della Clinton, ma solo raramente sottolineano gli attacchi partiti da Obama - anche se sono in contraddizione con la pretesa del candidato di rifarsi a un nuovo tipo di politica.

Quando McCain poteva diventare un Democratico

Il New York Times dedica un lungo approfondimento a due momenti piuttosto recenti della carriera di John McCain, in cui il senatore è stato molto vicino a lasciare il Gop e saltare dall'altra parte della barricata.
Anche se McCain si proclama un Repubblicano conservatore, e ricorda di aver partecipato alla "rivoluzione reaganiana", nel 2001 e nel 2004 è stato molto vicino a passare fra i Democratici e a candidarsi come vicepresidente di John Kerry.
Le versioni dei due episodi sono molto divergenti tra McCain e i Democratici. In ogni caso, non è un segreto che McCain attraversò un periodo piuttosto difficile dopo le primarie del 2000, quando il partito lo scaricò per puntare su Bush.
Tom Daschle, ex leader Democratico al Senato, racconta che nel 2001 incontrò McCain, assieme ad altri rappresentanti del partito dell'asinello, per discutere di un possibile cambio di casacca. Nella primavera del 2001 McCain era ancora amareggiato per la campagna denigratoria condotta contro di lui dal suo stesso partito, quando, alla vigilia del voto in South Carolina, lo staff di Bush aveva diffuso la notizia che il senatore avesse un figlio illegittimo di colore. Il partito non aveva appoggiato McCain, e tutti i suoi collaboratori erano stati tenuti lontani dai posti più importanti dell'amministrazione Bush.
Così McCain iniziò a votare assieme ai Democratici su alcune proposte di legge, e disse a Daschle che avrebbe votato anche contro la riforma fiscale di Bush, uno dei punti più importanti del programma del nuovo presidente.
A marzo, il principale consigliere di McCain, John Weaver (lo stesso del presunto affaire con la lobbysta) si incontrò con uno dei più influenti esponenti Democratici chiedendo come mai, visti i dissapori del senatore con il suo partito, nessuno nel DNC gli avesse proposto di lasciare il Gop o di diventare un indipendente alleato con i Dems.
Venne subito organizzato un incontro a cui, oltre Daschle, parteciparono Ted Kennedy e John Edwards. Ci fu un tira e molla durato alcuni mesi, nel frattempo altri Repubblicani lasciarono il partito cambiando i rapporti di forza al Senato, e McCain non se la sentì di contribuire al "ribaltone" (questo secondo i Democratici, la versione di Weaver è ben diversa: McCain non avrebbe mai seriamente pensato di cambiare partito, ed erano solo i Democratici a corteggiare ogni Senatore che aveva avuto dissapori col Gop).

Meno di tre anni dopo, McCain si trovò di nuovo vicino ai Democratici. In un'intervista dell'anno scorso. John Kerry ha raccontato che nel 2004 fu vicino a scegliere McCain come candidato vicepresidente, e che anche in questo caso l'idea venne dallo staff del senatore.
Due consiglieri della campagna di Kerry hanno raccontato che Weaver andò a casa del candidato Democratico pochi giorni dopo l'ufficializzazione della nomination, a marzo, proponendogli di scegliere McCain come "running mate"; Weaver dice invece che fu Kerry a chiedergli la disponibilità di McCain. I due sono comunque d'accordo nel dire che Kerry era entusiasta dell'idea e, pur di convincere McCain, arrivò ad offrirgli una larga parte delle responsabilità sulla sicurezza nazionale.
McCain, le rare volte che ha parlato dell'episodio, ha sempre ripetuto di non aver preso mai in considerazione l'ipotesi di affiancare Kerry.
John Kerry non ha mai affrontato dettagliatamente questo aspetto, ma i suoi ex consiglieri raccontano che il rifiuto di McCain non arrivò subito ma dopo una lunga riflessione, e probabilmente dopo una serie di verifiche su come il Partito Democratico avrebbe preso la scelta di un simile ticket.

mercoledì 26 marzo 2008

Richardson come "Giuda", secondo lo staff della Clinton

Oltre che inattesa, la scelta di Bill Richardson di appoggiare Barack Obama non è stata nè semplice nè comoda. Il Governatore del New Mexico, già ambasciatore USA presso le Nazioni Unite, è stato ministro dell'Energia per Bill Clinton tra il 1998 e il 2001, ed era pertanto dato come sicuro sostenitore di Hillary, tanto da finire nel novero dei possibili vicepresidenti.
La Clinton non ha preso bene la decisione di Richardson, che potrebbe influenzare il voto dei latinos: il primo a commentare è stato Mark Penn, stratega della campagna della Clinton, che ha sminuito l'importanza di Richardson "Il tempo in cui Richardson avrebbe potuto avere influenza è passato. Non penso che questo endorsement sia significante".
Pronta la replica di Richardson, che si è detto molto risentito per il commento "E' tipico di certi consiglieri, esattamente quel tipo di consiglieri che ho preferito evitare".
Il portavoce della Clinton, Singer, ha chiarito le dichiarazioni di Penn "Tutti noi abbiamo il massimo rispetto per il Governatore Richardson, Mark Penn si riferiva solo al fatto che il Governatore non ha fatto endorsement prima delle primarie in New Mexico".

La miccia si è riaccesa però dopo il commento di James Carville, uno dei più polemici consiglieri della Clinton "L'endorsement di Richardson è arrivato proprio nell'anniversario del giorno in cui Giuda tradì per trenta denari, e credo che sia un paragone molto appropriato ed ironico".
Sabato Richardson ha parlato a "Godd Morning America" ribadendo i motivi del suo sostegno a Obama - definito "un leader come ne capitano solo una volta nella vita" - e ha riferito di aver avuto una telefonata molto tesa con la Clinton prima di ufficializzare l'endorsement.
In una seconda intervista al CBS Early show, Richardson ha deprecato gli attacchi divenuti cifra distintiva della campagna della Clinton "Invece di parlare di guerra e di economia, si preferisce bisticciare. Ormai si va sul personale, la campagna è diventata molto negativa

Rassegna stampa democratica: la Pasqua dei candidati, il Texas rifiuta i ricorsi, SNL pro-Clinton?

Pasqua di riposo per Hillary Rodham Clinton e Barack Obama, che hanno approfittato del week-end festivo e del momento di riposo della campagna elettorale per tirare il fiato e sospendere ogni apparizione pubblica.
La Clinton da venerdì è tornata nella sua residenza di Chappaqua, vicino New York, prima di ritornare nella contea di Westchester già dal pomeriggio di lunedì. La Clinton ha passato la vigilia di Pasqua da sola, o comunque senza suo marito Bill, che è invece rimasto fino a sabato in giro per l'America in campagna elettorale, e in particolare in North Carolina.
Vacanza ai tropici per Barack Obama. Dopo aver ricevuto il prezioso endorsement di Bill Richardson e aver, almeno in parte, respinto le polemiche causate dal Reverendo Wrigth, il senatore dell'Illinois si è recato per una vacanza di qualche giorno a St. Thomas, nelle Isole Vergini, anche se il suo staff non ha fornito indicazioni ufficiali suoi suoi spostamenti.
La campagna di Obama riprende mercoledì con tappa a Greeensboro, in North Carolina.

Il Texas rifiuta i ricorsi
Come preannunciato, la Clinton ha presentato ricorso contro i caucus texani, chiedendo di posticipare le convention di contea previste oer il 29 marzo. La campagna della Clinton ha chiesto di verificare le firme e i voti del 4 marzo prima di assegnare ufficialmente i delegati, sostenendo di aver ricevuto oltre 2000 lamentele riguardo violazioni e brogli, anche a causa dell'enorme affluenza che si è verificata ai caucus. Tra le denunce, si parlerebbe di un caucus iniziato prima della chiusura delle primarie, e di conteggi tenuti a mano senza registri.
I risultati definitivi dei caucus non sono stati resi noti, anche se si sa che Obama si sarebbe attestato sul 56%, conquistando un numero di delegati tale da superare la Clinton nel totale del Texas, compresi quelli assegnati con le primarie.
Dopo aver ricevuto il reclamo, i leader Democratici del Texas hanno fatto sapere che non rimanderanno le convention del 29 giudicando "inutili" le verifiche dei voti "La evidente quantità di problemi avvenuti in Texas non hanno influenzato la correttezza dell'assegnazione dei delegati, pertanto non autorizzeremo processi di verifica che potrebbero dequalificare i delegati eletti" ha detto il Presidente del Partito Democratico texano Boyd Richie.

SNL preoccupato dall'accusa di essere pro-Clinton
Per oltre 30 anni, il Saturday Night Live si è vantato di mettere alla berlina politici di ogni tendenza e partito senza fare distinzioni nè preferenze, dal goffo Gerald Ford reinterpretato da Chevy Chase al sospirante Al Gore di Darrell Hammond. Il produttore esecutivo Lorne Michaels ha spesso ripetuto che la credibilità dello storico show deriva dal fatto di essere indipendente, perciò Michaels si è detto preoccupato dalla recente accusa piovuta addosso al SNL di essere pro-Clinton "Posso assicurare che non c'è un piano di nessun tipo, solo una rilettura di ciò che accade" ha spiegato.
Dopo lo stop forzato a causa dello sciopero degli sceneggiatori, SNL ha dedicato ampio spazio alla campagna elettorale, e a detta di molti alcuni sketch sono stati espressamente a favore della Clinton. E la ex first lady ha anche fatto una breve apparizione con la sua imitatrice Amy Poelher (nella foto) proprio due giorni prima delle vittorie in Ohio e Texas.
"Non pensiamo di aver influenzato gli elettori" sostiene Seth Meyers, uno degli head-writer dello show, dicendosi divertito dall'idea che uno sketch possa invertire una tendenza elettorale. Meyers, che a gennaio ha donato 1.000 dollari alla campagna elettorale di Obama, ha ribadito che non c'è una linea politica dietro i testi "Il nostro ego di autori comici è troppo grande per lasciare che le nostre idee politiche influenzino ciò che scriviamo".
Secondo Michaels, il sospetto di favorire la Clinton può derivare proprio dall'imitazione di Amy Poelher, che però puntualizza "La gente forse si è dimenticata che per due anni la abbiamo ridicolizzata in ogni modo possibile"

martedì 25 marzo 2008

I tre grossi problemi di Barack e Hillary

di Mark Halperin (TIME)


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I media amano la lotta - Sarebbe molto meglio per Obama se i media smettessero di descrivere le primarie democratiche come "a un punto morto" o "un testa a testa", visto che lui prova ad accreditarsi come l'indiscusso frot-runner con manifesta superiorità tra i delegati e nel gradimento popolare. (Basti pensare alla lotta Bush-Gore nel 2000, quando i media hanno descritto il minuscolo margine di vantaggio di Bush in Florida come una chiara leadership, delegittimando di fatto la richiesta di un riconteggio da parte di Gore).


Ama o combatti - Obama e il suo staff non hanno ancora trovato un punto di equilibrio retorico e strategico tra la promessa di un nuovo tipo di politica e il dover lottare ogni giorno. Lo status quo lo può far sembrare ipocrita ed inefficace.


Il blues dei grandi stati - Con la Pennsylvania in arrivo (uno stato fatto su misura della Clinton) Obama potrebbe finire nel mirino per un'altra sconfitta in uno degli stati più importanti, riproponendo la fatidica domanda (soprattutto per i superdelegati): perchè continua a perdere nei grandi stati, e cosa potrebbe significare nelle elezioni generali?



L'immagine “http://markhalperin.files.wordpress.com/2008/03/cindy1.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori. Clinton


Il divario tra i delegati eletti - Non può recuperare, e, alla fine dei conti, molti superdelegati indecisi saranno influenzato da questo fatto più che da ogni altra cosa.


Superdelegati in stallo - Dalla vittoria in Ohio e Texas, ha ottenuto solo un paio di endorsement (mentre Obama ha continuato ad accumulare appoggi senza sosta). Deve mostrarsi ancora in grado di combattere e deve beneficiare di qualche sostegno fresco.


Se sarà vittoria, sarà una brutta vittoria - Se la Clinton otterrà la nomination sarà solo perchè (1) userà i superdelegati per guadagnare la leadership e (2) sconfiggerà e possibilmente screditerà uno storico candidato che ha esaltato milioni di persone. Una vittoria è una vittoria, ma come la Clinton e i suoi supporter sanno bene, battere Obama avrà dei costi enormi.

Resoconto del tour estero di McCain

Il viaggio all'estero di John McCain non è stato una semplice visita di rappresentanza di alcuni membri del Congresso, come doveva essere in origine ma, come riporta anche il New York Times, non è stato neppure il viaggio di presentazione di un candidato che vuole accreditarsi presso i suoi possibili futuri colleghi.
McCain ha infatti approfittato del viaggio, che lo ha portato dalla Giordania a Gerusalemme, dall'Eliseo a Downing Street, per fare le prove generali di quella che sarà la sua nuova immagine se divebnterà Presidente, e soprattutto per testare la sua strategia per riparare i danni fatti dall'amministrazione Bush all'immagine degli USA all'estero, non solo per quanto riguarda gli interventi militari, ma anche su temi quali il riscaldamento globale e la tortura.

Un sondaggio dello scorso anno ha riferito che anche i cittadini di paesi alleati degli USA come Francia e Inghilterra, avevano più fiducia in Vladimir Putin che in Bush. Conscio di questo, McCain ha usato toni deliberatamente diversi da quelli dell'attuale inquilino della Casa Bianca.
McCain ha parlato a Sarkozy e Gordon Brown della necessità che gli USA partecipino agli sforzi per ridurre il riscaldamento globale, un tema molto sentito in Europa, e ha auspicato un nuovo protocollo di Kyoto.
McCain ha inoltre espressamente parlato della chiusura dei centri di detenzione come Guantanamo, uno dei temi che allontanano di più l'Europa dagli USA.

Nel corso della sua campagna, molte volte è stato chiesto a McCain cosa avrebbe fatto per migliorare l'immagine dell'America nel mondo, e ora ne ha potuto dare un assaggio. Le differenze con Bush sono molteplici: McCain ha viaggiato molto più di Bush e ha visitato ogni nazione della NATO.
Tuttavia, secondo molti analisti, il sostegno forte di McCain alla guerra in Iraq potrebbe pregiudicare la sua immagine all'estero. Mentre in USA l'Iraq è solo uno dei tanti temi (e non il più sentito soprattutto con la attuale recessione economica), all'estero e in particolare in Europa è l'argomento principale su cui ci si aspettano novità dal futuro Presidente.
In tutte le sue tappe, McCain ha ripetuto che la situazione in Iraq sta migliorando, ma che bisogna ancora sconfiggere Al Qaeda. In Giordania ha commesso una gaffe, dicendo che gli iraniani stanno portando Al Qaeda anche in Iran, una specie di pre-annuncio di una nuova guerra accolto criticamente anche in USA e subito corretto.

Gli analisti sostengono che l'Iran sta finanziando gli insurrezionisti sciiti in Iraq, ma nulla a che vedere con Al Qaeda, una precisazione che ha portato i candidati Democratici a ironizzare sulla preparazione di McCain in politica mediorientale, e il giornale inglese The Independent a titolare "Un falco atterra a Londra". Al contrario il Daily Telegraph si è mostrato favorevole al senatore, titolando "Se l'Iraq migliora è merito di McCain".
Anche i media francesi hanno accolto generalmente bene il senatore. Le Figaro ha pubblicato un profilo intitoloato "Il ribelle che sogna la Casa Bianca", riportando che McCain è soprannominato 'testa calda' e che è un cane sciolto all'interno del suo partito.