sabato 23 febbraio 2008

Il difficile futuro di Hillary

Il dibattito di giovedì, nonostante tutti gli analisti concordino nel definirlo come un pareggio, ha lasciato il segno sia tra i supporter che all'interno dello staff di Hillary.
Non si tratta solo della ambigua dichiarazione finale, che pure ha suscitato più di un dubbio riguardo la possibilità che la senatrice possa fare un passo indietro.
Ieri la Clinton ha dovuto ribadire che non ha intenzione di ritirarsi dalla corsa, ma persino il marito Bill ha ammesso che, per continuare a sperare nella nomination, Hillary deve vincere in maniera convincente sia in Ohio che in Texas. Cosa che, secondo molti esperti, diventa più difficile ogni giorno che passa.
A tutto questo si aggiunge il malumore dei finanziatori della senatrice, accusata di sperperare i fondi raccolti in costosi ricevimenti.
Probabilmente l'aspettativa verso il dibattito di Austin era molto alta, e cioè quella di fermare l'avanzata di Obama, ma così non è stato. Il Washington Post riporta che venerdì alcuni sostenitori della Clinton, appartenenti alla più ristretta cerchia di collaboratori, hanno per la prima volta sollevato la questione di un possibile ritiro all'jndomani del voto del 4 marzo, in caso non ottenesse una vittoria convincente. Una delle opzioni sul tavolo sarebbe quella di aspettare ancora un paio di giorni e poi parlare a Bill Clinton della necessità di una simile decisione.
Un consigliere della Clinton, che ha chiesto l'anonimato, ha riferito che la vittoria con 17 punti di distacco in Wisconsin ha dato un colpo durissimo alle ambizioni della Clinton, visto che si tratta di uno stato che poche settimane prima era ritenuto sicuro.
"La realtà matematica è impossibile da ignorare" ha detto il consulente "E' inutile negare, a questo punto. Lei sa come stanno andando le cose. E' chiaro che deve prendere una grande decisione, ma esita ancora. E' duro da accettare".
Inoltre un sondaggio pubblicato sull'edizione cartacea del Time, riporta che, mentre gli elettori di Obama non amano la Clinton (ed è quindi prevedibile che avrebbero delle remore a votarla a novembre), i sostenitori della Clinton apprezzano Obama e lo vedrebbero bene sia come vice sia come presidente.
A quanto pare anche all'interno del Partito Democratico si è avviata una discussione su come incoraggiare la Clinton a farsi da parte, e si parla di lei come della prossima leader del partito al Senato.
Hillary, pubblicamente, ha ribadito sia sulla ABC che sulla CBS di non avere in mente un ritiro dopo il 4 marzo, e di non pensare ad una possibile sconfitta. Ma, come se non bastasse il crescente successo di Obama tra gli elettori che fino a poche settimane fa erano fedelissimi della Clinton (soprattutto le donne di mezza età e gli elettori bianchi appartenenti alle classi operaie), le ultime settimane ha fatto registrare una netta inversione di tendenza anche tra i superdelegati.
La Associated Press riporta infatti che in 15 giorni Obama ha ottenuto il sostegno di 25 superdelegati, contro solo 2 della rivale, e il distacco (che la AP quantifica in 241 a 181) si sta assottigliando.

Vademecum: come funziona un caucus

Abbiamo parlato molto spesso dei caucus, questo sistema tipico delle primarie Usa in alcuni stati, un'espressione di democrazia diretta diverso dalle classiche elezioni con scheda elettorale, urna, voto segreto e successivo scrutinio. Il video che segue mostra nei fatti come funziona un caucus che seleziona i delegati per la convention statale, che servirà poi ad eleggere i delegati alla convention nazionale.
Il filmato è in inglese ma sono le immagini quelle che contano. Ogni stato ha delle regole differenti per i caucus, qui si parla in particolare dello Iowa, ma i principi generali sono comuni. Utilizzando immagini delle primarie 2004, si mostra come i partecipanti al caucus (che si può tenere in una scuola, in una chiesa o anche in una casa privata) dopo aver ascoltato le dichiarazioni di voto dei sostenitori dei vari candidati, si schierano in diversi punti della sala in base al candidato che decidono di supportare. Il filmato riporta anche la possibilità che i voti vengano in qualche modo influenzati dalla presenza di vicini di casa, amici, ecc.
Di solito esiste una sorta di soglia di sbarramento (detta "viability") al di sotto della quale non si ha diritto ad una rappresentanza. I votanti che si sono legati a candidati senza viability, possono decidere se sostenere uno dei candidati con più voti, se unirsi a sostegno di uno solo dei candidati senza "viability", o infine se lasciare il caucus.
Una volta che è stato effettuato questo riallineamento, e sono rimasti solo candidati al di sopra della soglia di sbarramento, si passa a calcolare la proporzione con cui rappresentare il risultato, scegliendo quindi quanti delegati per la convention statale assegnare ai candidati.

venerdì 22 febbraio 2008

Resoconto del dibattito in Texas


Ci si aspettava molto da questo dibattito, l'ultimo in Texas e il penultimo in calendario, ci si aspettava forse che uno dei due candidati facesse la mossa decisiva per mettere fuori gioco l'avversario - o magari se stesso. Non è stato così, dopo 19 dibattiti dall'inizio della campagna le posizioni di Hillary Clinton e Obama sono ormai ben note, e i due si conoscono talmente bene che il dibattito è sembrato più che altro una partita a scacchi senza scacco matto.
Come al solito la Clinton ha attaccato a testa bassa l'avversario, ripetendo il suo repertorio di dubbi e accuse, ma stavolta Obama ha avuto buon gioco nel replicare guardandola sempre negli occhi e mostrandosi eccezionalmente calmo e sicuro di sè: privilegi da front-runner.
Per quanto concerne gli argomenti, è emerso che entrambi i candidati hanno posizioni molto simili praticamente su tutto, hanno modi molto diversi per arrivare alle stesse soluzioni.

La prima questione trattata nel dibattito è stata la crisi a Cuba, con le dimissioni di Fidel Castro. Sia la Clinton che Obama hanno garantito che incontreranno il prossimo leader, quasi sicuramente Raul Castro, se ci saranno dei passi verso la democrazia. La Clinton ha detto che non potrebbe mai incontrare nessun leader senza delle pre-condizioni, criticando la posizione di Obama, che ha sua volta ha precisato che è giusto attendersi dai dittatori degli "stati canaglia" delle aperture prima di programmare delle trattative. In questo modo il senatore ha cercato di risalire nei consensi tra quegli elettori che vedono la Clinton più adatta alla leadership.

Sui temi economici, Obama lascia intendere (anche se non esplicitamente) che la Clinton sarebbe schiava degli interessi privati dei suoi sostenitori a Washington, e non potrebbe fare riforme libere da condizionamenti.

Si passa poi all'immigrazione, tema molto sentito qui in Texas. Entrambi concordano nel programmare un percorso di legalizzazione dei clandestini nei primi 100 giorni di presidenza. Il giornalista John King ricorda che entrambi hanno votato a favore della costruzione della famigerata barriera al confine con il Messico, voluta da Bush. La Clinton e Obama concordano nel dire che hanno acconsentito perchè pensavano che si sarebbe tenuto conto della volontà dei cittadini, alzando la barriera dove era indispensabile e cercando soluzioni alternative altrove. "Come in molte altre cose, l'amministrazione Bush si è spinta troppo in là" ha detto la Clinton.

Dopo il break pubblicitario, e rispondendo ad una simpatica provocazione del moderatore Campbell Brown, la Clinton passa all'attacco, spiegando che lei e Obama sembrano avere molto in comune, ma ricorda che è impossibile ricordarsi una proposta legislativa del senatore dell'Illinois.
Obama replica, accusando la Clinton di aver descritto i suoi elettori come "illusi" "Io penso invece che capiscano molto bene cosa succede a Washington. Capiscono che se non remiamo tutti dalla stessa parte, e non smettiamo di bisticciare, non riusciremo a fare niente" ha spiegato Obama.
La Clinton ha poi accusato Obama di aver copiato a piene mani per un suo discorso alcune dichiarazioni del Governatore del Masachussetts Deval Patrick "Se la tua campagna elettorale si basa solo sulle parole, dovrebbero almeno essere le tue parole". Gli spettatori in sala hanno rumoreggiato in disaccorso con la Clinton. Obama ha replicato seccamente definendo "stupidaggini politiche" quelle della Clinton, e ha ricordato che Patrick è un suo amico di vecchia data che gli ha personalmente suggerito di usare quelle parole "La gente è stanca di queste storie", ha concluso.

Dopo il secondo break, viene chiesto alla Clinton se ritiene Obama qualificato per diventare Presidente. La Clinton glissa, passando a parlare della riforma sanitaria, ma i giornalisti tornano alla carica. Lei non risponde, mentre Obama afferma che non si sarebbe mai candidato a guidare l'America se non si sentisse preparato.
Entrambi glissano su una domanda riguardante i superdelegati.

L'ultima domanda riguarda i momenti di crisi personale vissuti dai due candidati.
Obama parla della sua gioventù, degli errori fatti, dell'abbandono da parte del padre quando aveva solo due anni.
La Clinton ha invece impiegato il triplo del tempo per rispondere: ha detto che i suoi momenti di crisi sono conosciuti da tutti, e ha ringraziato gli americani per il sostegno che le hanno dato, ma poi ha parlato di una sua visita ad un centro di riabilitazione per i militari feriti, e ha spiegato che ciò che ha passato non è nulla in confronto a ciò che accade tutti i giorni a tanta gente. Concludendo, ha detto di essere onorata di trovarsi lì con Obama, e ha chiuso con una frase tipica di John Edwards "Qualunque cosa succeda, andrà bene".
Queste sue dichiarazioni finali sono state interrotte due volte dagli applausi, ma subito dopo più di un notista politico ha sottolineato che, più che le parole di chi si prepara a diventare Presidente, era la dichiarazione di congedo di un candidato che sa che la sua corsa è finita.
Secondo l'editorialista della CNN Bill Schneider, il dibattito è finito in un pareggio perchè è quasi impossibile dopo queste settimane di campagna elettorale riuscire a guadagnare terreno l'uno sull'altra in un semplice dibattito.

McCain: relazione con una lobbysta?

Come in ogni campagna elettorale che si rispetti, cominciano a venire fuori gli scheletri negli armadi dei candidati. I cosiddetti "gruppi di pressione", poco invidiabile esclusiva delle elezioni americane, lavorano da mesi alla ricerca di scandali nel passato degli aspiranti nominati, e in passato sono spesso riusciti a raggiungere i loro scopi: quattro anni fa misero in dubbio il passato militare di John Kerry in Vietnam, dando un duro colpo alla sua credibilità, ma niente in confronto alla relazione extraconiugale a causa della quale, nel 1988, Gary Hart dovette ritirarsi dalle primarie che avrebbe certamente vinto.
Proprio un triangolo amoroso sarebbe lo scheletro nell'armadio di John McCain, che tra tutti i candidati è quello che meno si potrebbe accostare ad un sex-gate.
Eppure il New York Times di giovedì ha pubblicato una storia che proviene da una fonte attendibile, John Weaver, storico collaboratore di McCain. I fatti risalirebbero a otto anni fa, quando il senatore si stava preparando a correre per le primarie del 2000, in cui sarebbe poi stato sconfitto da Bush.
Alla fine del 1999, Weaver e altri collaboratori di McCain, incontrarono Vicky Iseman, quarantenne lobbysta della Alcade & Fay, specializzata in telecomunicazioni, per chiederle di stare lontana dal senatore per non compromettere la sua campagna.
Fino ad allora, la Iseman aveva accompagnato di frequente McCain alle raccolte fondi e agli incontri con i finanziatori. A un certo punto il rapporto lavorativo sarebbe diventato qualcosa di più, preoccupando Weaver a tal punto da fargli prendere la decisione di allontanare la donna e affrontare direttamente McCain diffidandolo dal continuare la relazione.
Seguendo l'esempio di Bill e Hillary Clinton, che nel 1992 affrontarono insieme un caso analogo, McCain e sua moglie Cindy si sono presentati insieme in Ohio per negare decisamente tutto quanto pubblicato dal NYTimes. McCain ha ammesso di conoscere la Iseman ma ha affermato che la loro è solo un'amicizia, e si è detto dispiaciuto che il NYTimes abbia "infangato" la sua campagna elettorale.
Mike Huckabee, interpellato in merito, ha detto di credere alle parole di McCain dicendosi certo della sua integrità.
Più che per la presunta relazione, McCain stan finendo in queste ore nell'occhio del ciclone per aver tentato di impedire al giornale di pubblicare la notizia. Dal canto suo, anche il New York Times è stato investito da molte critiche per aver dato spazio ad una notizia del genere e per aver atteso diversi mesi per renderla pubblica.

giovedì 21 febbraio 2008

Update: Obama vince tra i Democratici all'estero



Anche i Democratici all'estero puntano su Barack Obama, che inanella così l'undicesima vittoria consecutiva.
I risultati definitivi vedono Obama con il 65,6% dei voti e Hillary Clinton con il 32,7%. Hanno votato oltre 22.000 persone tra il 5 e il 12 febbraio, via internet, fax e nei luoghi deputati per i caucus, tra cui pub, bar e hotel, e chiese (a Roma si è votato alla Chiesa Anglicana di via Nazionale, e tra gli altri ha votato anche il ministro Melandri, nata a New York).
Il sistema di rappresentanza dei Democrats Abroad è singolare: fisicamente alla convention nazionale andranno 14 delegati, ma ognuno di loro varrà mezzo voto, quindi in pratica è come se fossero solo 7 delegati. Le primarie hanno determinato il voto di 9 persone, quindi 4,5 delegati, e i risultati danno 2,5 delegati a Obama e 2 alla Clinton. Ad aprile si terrà una convention che selezionerà le altre cinque persone, pari a 2,5 voti. I Democratici all'estero hanno anche otto superdelegati (pari a quattro voti): due hanno annunciato il sostegno alla Clinton, due a Obama, e quattro non si sono espressi

Le reazioni dei candidati alle dimissioni di Fidel Castro

Dopo le dimissioni di Fidel Castro, che dopo quasi 50 anni ha ceduto il potere esecutivo di capo dello Stato a Cuba - e in attesa che la prossima settimana i vertici del regime prendano una decisione ufficiale sulla successione - la questione cubana torna d'attualità nella campagna elettorale, e soprattutto a ridosso delle Presidenziali, visto che le posizioni tra Democratici e Repubblicani sono piuttosto diverse.
I Repubblicani sono per la linea dura, seguendo la politica del Presidente Bush che per tutto il suo mandato ha sempre rifiutato ogni possibilità di dialogo con il regime castrista. I due candidati Democratici sono più aperti alla possibilità di aprire dei contatti con Cuba, nel caso in cui ci siano dei punti di rottura con il passato: in effetti Raul Castro, che molto probabilmente sarà designato come successore del fratello, ha annunciato una serie di blande riforme che rappresenterebbero un segno di buona volontà.
Obama è quello che si è spinto più in là: durante la campagna elettorale ha denunciato l'inutilità dell'embargo, e ora ha aggiunto che se il nuovo regime cubano opererà una rottura con il passato, gli USA dovranno cessare l'isolamento nei confronti dell'isola. Già l'anno scorso Obama aveva sorpreso tutti annunciando che, se eletto, avrebbe incontrato Castro e altri dittatori per avviare un dialogo, e avrebbe abolito l'embargo.
Anche la Clinton, martedì scorso, è apparsa più possibilista dopo le dimissioni di Castro "Speriamo di vedere le prove di una volontà di cambiamento da parte del governo cubano, e a quel punto gli USA dovranno trarne le conseguenze".
I candidati Repubblicani - con l'eccezione di Ron Paul, da sempre contrario alle sanzioni contro Cuba - insistono invece sul fatto che il cambiamento deve essere evidente prima di ogni reazione da parte statunitense. John McCain ha affermato che "questa è una grande opportunità per una transizione democratica, per liberare i prigionieri politici e per invitare nel i rappresentanti delle associazioni per i diritti umani. Ma dobbiamo essere assolutamente certi di questo cambiamento prima di sospendere l'embargo, aiutando così il formarsi di un nuovo regime".
Ancora più dura è la linea di Mike Huckabee "Finchè Fidel Castro non sarà morto, non ci potranno essere riforme significative a Cuba. Raul Castro ha dimostrato di essere molto più tirannico del fratello. Dare più potere a un altro dittatore non significa promuovere la democrazia e la libertà"

Ron Paul va avanti

A grande richiesta torno a parlare di Ron Paul, precisando che lo scarso spazio a lui riservato sul blog non è dovuto a intenti censori, ma semplicemente alla mancanza di notizie da parte dei media mainstream, che sono la mia principale fonte di informazione.
Mercoledì, la CNN è invece tornata a parlare del candidato libertario, interrompendo un silenzio stampa che durava da settimane (sebbene Paul avesse partecipato al dibattito Repubblicano nella Reagan Library prima del 5 febbraio).
All'indomani del Super Martedì e del ritiro di Romney, Paul aveva diffuso una lettera ai suoi sostenitori, ammettendo che, con l'uscita di scena dell'ex Governatore del Massachusetts, le possibilità di una brokered convention erano praticamente nulle, ma che comunque lui era intenzionato ad andare avanti per poi presentarsi alla convention con tutti i delegati conquistati per far valere le proprie idee.
Mercoledì alla CNN Ron Paul ha ripetuto di non aver intenzione di fermarsi "Rimarrò in corsa fin quando i miei sostenitori lo vorranno. Ero riluttante a partecipare, non pensavo che avrei resistito per più di un mese o due, ma con mia grande sorpresa abbiamo letteralmente conquistato centinaia di migliaia di supporter e milioni di dolari, e sono ancora molto entusiasti. E dico che fin quando il numero di volontari continuerà a crescere, e i soldi ad arrivare, e ci saranno primarie a cui partecipare, e loro mi vorranno in corsa, io continuerò a correre. "
Paul racconta poi che la sua figura ha attratto personalità fuori dal comune che vogliono correre per il Congresso "Uno dei miei problemi adesso è che sono sommerso da persone che vogliono candidarsi e adesso devo selezionarli. E' una grande responsabilità per me, perchè devo assicurarmi di aiutare i candidati che credono nella causa e non quelli che vogliono semplicemente un posto al Congresso".
Paul ha anche annunciato la sua intenzione di correre per la rielezione in Texas, e ha categoricamente escluso la possibilità di presentarsi alle presidenziali di novembre come candidato del Libertarian Party.

mercoledì 20 febbraio 2008

Toto-vicepresidente: i Repubblicani

Nonostante la pratica-nomination in casa Repubblicana sia stata sbrigata in tempi rapidi, il nome del vicepresidente prescelto da McCain si saprà probabilmente dopo la scelta da parte dei Democratici. Mai come in questo caso, la scelta del VP sarà ponderata e vagliata, sulla base di numerosi elementi, non ultimo la nomination Democratica. Una nomina della Clinton o di Obama cambierebbe le carte in tavola anche al Gop, ed è probabile che già da ora si stiano stilando due differenti rose di possibili vice, a seconda che il candidato a prevalere in casa democratica sia la ex first lady o il senatore dell'Illinois.
Inoltre c'è un altro aspetto da considerare, ovvero l'età non proprio verde di McCain. Anche se non è carino dirlo, è fuor di dubbio che si voglia tenere in considerazione l'ipotesi che l'anziano senatore dell'Arizona arrivi a trovarsi nella condizione di non poter svolgere temporaneamente il suo compito, o peggio.
Oltretutto la scarsa popolarità di McCain tra i conservatori più oltranzisti (e in seno al partito) può richiedere la scelta di un vice che compensi i suoi punti deboli.

Ci sono due candidati che sarebbero molto graditi al Partito Repubblicano ma, per ovvi motivi, non a McCain. Si tratta di Condoleeza Rice, Segretario di Stato dell'attuale amministrazione, e di Jeb Bush (nella foto), fratello di George W.
Jeb sembra avere un futuro politico già deciso: sarà quasi sicuramente candidato alla nomination fra quattro o otto anni, e già si preannuncia una dura sfida con Romney, una vicepresidenza potrebbe spianargli la strada e farebbe felici i sostenitori della corrente amministrazione , ma metterebbe in difficoltà McCain che, come quasi tutti i candidati Repubblicani, ha fatto della (moderata) discontinuità con Bush uno dei punti centrali della sua candidatura.
Lo stesso discorso vale per la Rice, che però potrebbe entrare in gioco per accaparrarsi il voto femminile come anti-Hillary.

Il nome potrebbe nascondersi tra gli ex aspiranti nominati: escludendo Ron Paul (che oltre ad essere su molti argomenti su posizioni opposte a McCain, è ancor meno popolare di lui nel partito), tutti gli altri hanno delle possibilità. Il nome accostato più spesso alla carica di VP è quello di Mike Huckabee, che sta continuando a correre per la nomination nonostante non abbia più possibilità di conquistarla, e c'è chi dice che lo stia facendo per conquistare un consenso sufficiente a presentarsi come possibile candidato alla vicepresidenza alla convention di settembre. Huckabee, che a parte lo screzio provocato da Chuck Norris ha con McCain un rapporto di stima reciproca, potrebbe riportare sul senatore il consenso dell'ala religiosa e conservatrice, e degli stati del Sud, tutti punti deboli di McCain.
Tuttavia neppure Huckabee è un big del partito, come è invece Mitt Romney. L'ex governatore del Massachusetts è riuscito a conquistare un posto di rilievo nel partito sia per la sua "conversione" conservatrice, sia per la decisione di farsi da parte per non spaccare i Repubblicani. Sarebbe un vice di garanzia, in modo da mettersi su una corsia preferenziale per la candidatura alle presidenziali fra quattro o otto anni. Sarebbe però certamente un vice molto ingombrante, e una simile scelta avverrebbe solo per un'imposizione del partito (analogamente al ticket Clinton-Obama per i Democratici): d'altronde i due non vanno d'accordo, McCain si vedrebbe tarpato e Romney potrebbe venire coinvolto in una sconfitta elettorale. Al momento, è più probabile che Romney diventi il prossimo presidente del Gop.
Un altro ritirato eccellente che ha fatto endorsement per McCain è Rudy Giuliani, ma il suo nome è stato accostato alla vicepresidenza solo fugacemente: non sembra una carica adatta all'ex sindaco di New York, che potrebbe invece ricoprire cariche di rilievo nella squadra di Governo, da Segretario di Stato in giù.
Sembrano poche le possibilità per Fred Thompson, il primo dei ritirati ad appoggiare McCain, e per Alan Keyes, uscito dalla corsa ancora prima che partisse. C'è chi però appoggia una vicepresidenza Keyes, afroamericano già collaboratore di Reagan, nel caso in cui Obama conquistasse la nomination democratica.

Se dipendesse solo da McCain, la rosa di nomi sarebbe molto più ridotta. Un'ipotesi suggestiva è quella che riconduce a Joe Lieberman, indipendente ed ex candidato vice di Al Gore nel 2000, che potrebbe calamitare i voti degli indecisi (e delle lobby ebraiche), ma che ha un identikit opposto a quello che servirebbe per riequilibrare le posizioni di McCain e indispettirebbe ulteriormente l'elettorato più conservatore, per non parlare della destra religiosa. Nomi ben più papabili sono quelli di due Governatori, Charlie Crist e Tim Pawlenty.
Crist (foto a sinistra), Governatore della Florida, cinquantaduenne rampante, è stato importante nella decisiva vittoria di McCain nel suo stato. Da Governatore ha dimostrato attenzione verso i temi ecologici, ma è anche portatore di istanze conservatrici sui temi sociali ed etici. Reppresenterebbe quindi una controparte quasi perfetta di McCain, avendo però anche la capacità e la preparazione per prenderne il posto.
Tim Pawlenty (foto a destra) è invece Governatore del Minnesota dal 2003. Un anno fa, dopo aver rifiutato di candidarsi alle primarie, ha dato immediatamente il suo sostegno a McCain, di cui è quindi un fedelissimo non da oggi (e d'altronde McCain lo ha sostenuto per la rielezione a Governatore nel 2006). Pawlenty ha 47 anni, è molto apprezzato dall'ala conservatrice del partito ma al tempo stesso è portatore di istanze simili a quelle di McCain sui temi ecologici. E' di religione battista, e questo agevolerebbe il voto degli evangelici, ed è un esperto in materia fiscale, uno dei principali punti deboli della campagna di McCain. Nonostante nel 2007 sia stato al centro di diverse controversie proprio per la sua politica fiscale, oltre che per la scelta dei collaboratori, il suo nome è quello che viene fatto più insistentemente in queste settimane.

Risultati 19 febbraio: Hawaii, Washington, Wisconsin

Obama e McCain proseguono con il Wisconsin la loro serie positiva. McCain vince anche nel secondo round nello stato di Washington.
Le primarie democratiche di Washington, in cui Obama ha prevalso, non assegnavano delegati.

Democratici


Hawaii

Barack Obama: 75,74% (14 delegati)
Hillary Clinton: 23,61% (6)

Wisconsin

Barack Obama: 58,12% (41 delegati)
Hillary Clinton: 40,75% (28)



Repubblicani


Washington 19 di 37

John McCain: 49% (14 delegati)
Mike Huckabee: 21%
Mitt Romney: 20%
Ron Paul: 7%

Wisconsin

John McCain: 54,90% (35)
Mike Huckabee: 37,02%
Ron Paul: 4,69%

martedì 19 febbraio 2008

Pakistan: Musharraf sconfitto non se ne va

Le elezioni tenutesi domenica in Pakistan rischiano di rappresentare la prima grana per il nuovo inquilino della Casa Bianca fra 11 mesi, giacchè è difficile immaginare che oggi, nella fase finale del suo mandato, Bush voglia agire in maniera eclatante.
Oggi il partito del presidente Pervez Musharraf, che ha preso il potere nel 1999 dopo un colpo di stato militare, ha ammesso la sconfitta nelle consultazioni elettorali, monitorate da osservatori internazionali.Ad aver vinto, anche se i conteggi non sono terminati, dovrebbero essere il Partito Popolare Pakistano, quello guidato da Benazir Bhutto, uccisa a dicembre, e la Lega Musulmana-N dell'ex premier Nawaz Sherif. Musharraf ha però fatto sapere che non è intenzionato a lasciare il potere ma, al massimo, "collaborerà" con i vincitori delle elezioni. Musharraf, salito al potere grazie agli integralisti, dopo l'11 settembre 2001 si schierò immediatamente con gli USA evitando al suo paese di diventare un altro Afghanistan, ma gli sono sempre stati rimproverati rapporti stretti con i fondamentalisti, e non è un segreto che sia pesantemente influenzato dai servizi segreti.
Mentre George Bush ha sempre adottato una tattica tollerante verso l'alleato, temendo una ulteriore destabilizzazione del paese, tutti e tre i candidati presidenziali americani in corsa per la Casa Bianca hanno posizioni molto critiche sul Pakistan. Hillary Clinton ha sostenuto in più occasioni la necessità che in Pakistan ci sia una democrazia compiuta, Barack Obama si è detto favorevole ad una presenza militare nel paese, anche se solo con "compiti di intelligence", con o senza il consenso del governo pakistano. Infine John McCain ha chiesto l'intervento militare in Pakistan dopo l'assassinio della Bhutto.

Verso il voto: i caucus democratici alle Hawaii

L'immagine “http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/a/ae/Hawaii_state_flag.png/120px-Hawaii_state_flag.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
L'arcipelago delle Hawaii si trova nell'Oceano Pacifico e rappresenta il 50° stato ad avere aderito agli USA, nel 1959. L'arcipelago è composto dall'isola di Hawaai, sette isole principali e diverse isole minori.
Prima dell'arrivo dei colonizzatori, le Hawaii erano abitate da popolazioni indigene provenienti probabilmente dalla vicina Polinesia, e la cultura polinesiana ha infatti influiti moltissimo sugli usi, i costumi e la lingua dell'arcipelago. Nel 1778 gli inglesi guidati dal capitano Cook giunse nell'arcipelago e lo esplorò, dandogli il nome di Isole Sandwich. Cook fu accolto bene, ma venne poi ucciso dai locali a seguito di una scaramuccia.
L'arrivo degli europei portò alle Hawaii molte malattie che decimarono la popolazione indigena, e ulteriori disordini si verificarono con l'arrivo dei missionari protestanti.
All'inizio del XIX secolo le isole vennero conquistate dal re Kamehameha, che instaurò un regno durato fino al 1893, anno in cui la regina Liliuokalani venne detronittaza e fatta prigioniera da un gruppo di cittadini stranieri, che offrirono poi l'arcipelago agli USA, probabilmente per ottenere una riduzione sui dazi.
Gli Stati Uniti dichiararono però la rivoluzione illegale e rifiutarono l'annessione, così i ribelli fondarono la Repubblica delle Hawaii. Tre anni dopo, con la fine della guerra contro la Spagna con cui l'America ottenne le Filippine e Puerto Rico, la Repubblica delle Hawaii offrì nuovamente l'annessione agli USA, che stavolta accettarono.
Le Hawaii divennero sede di una grande base della marina degli Stati Uniti, a Pearl Harbor, sull'isola di Ohau. Pearl Harbor venne attaccata e bombardata dai giapponesi il 7 dicembre 1941, evento che causò l'entrata degli USA nella Seconda Guerra Mondiale.
Nel 1959 il Congresso accettò l'ingresso delle Hawaii nell'Unione come 50° stato. Le Hawaii contano 1.262.840 abitanti, 42° stato più popoloso. La capitale, e città più popolosa, è Honolulu.
L'economia delle Hawaii è basata soprattutto sul turismo e sull'agricoltura, oltre che sulla presenza militare. Il sistema sanitario, caso unico negli USA, copre il 95% della popolazione.


I caucus Repubblicani si sono tenuti in varie sessioni tra il 25 gennaio e il 7 febbraio, ma solo alla convention del 16-18 maggio si deciderà se i 20 delegati repubblicani andranno alla convention nazionale assegnati a un candidato oppure unpledged.
Per i Democratici, le Hawaii mettono in palio 29 delegati, di cui 20 elettivi e 9 superdelegati, con il sistema del caucus chiuso. 13 delegati elettivi verranno assegnati sulla base dei risultati nei due distretti elettorali, mentre i restanti 7 saranno assegnati sulla base dei risultati assoluti in tutto lo stato. I 9 superdelegati verranno nominati nella convention statale del 23-25 maggio.
Non sono disponibili sondaggi recenti sullo stato, ma le Hawaii sono l'home state di Barack Obama, che qui è nato, e quindi è logicamente il favorito. Nè Obama nè la Clinton hanno fatto visita elettorale alle Hawaii, tuttavia Chelsea Clinton ha fatto campagna per la madre, mentre Obama è stato rappresentato da sua sorella, Maya Soetoro-Ng, che è un'insegnante alle Hawaii.

Gary Hart: Obama non svanirà

L'immagine “http://www.observer.com/sites/all/themes/obs_2007/img/logo.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
di Steve Kornacki (New York Observer)

Il risultato di stallo del Super Tuesday non ha fatto altro che rafforzare i parallelismi tra la lotta Hillary Clinton-Barack Obama e le primarie per la nomination Democratica nel 1984, un'altra corsa a due che opponeva un candidato innovatore contro l'establishment del partito e un candidato che non venne nominato fino alla convention di luglio a San Francisco.
Nella campagna dell'84, il ruolo di Obama apparteneva a Gary Hart, le cui nuove idee lo portarono ad una vittoria con un distacco di 13 punti in New Hampshire, che lo proiettò in testa e, in poche settimane, portò Walter Mondale - che aveva cominciato la campagna come il più sicuro favorito nella storia delle primarie - sull'orlo della capitolazione. Un trionfo di Hart nel Super Tuesday a marzo avrebbe indotto l'ex vicepresidente al ritiro, ma quando Mondale vinse per un'incollatura in due stati (contro i sette di Hart) i media proclamarono la sua riscossa.

Quando primarie e caucus finirono a giugno, la situazione era in pareggio: entrambi avevano vinto quasi lo stesso numero di delegati elettivi, e Hart era leggermente avanti nel voto popolare. Ma la nomination andò a Mondale, perchè i superdelegati erano con lui sin dall'inizio, molto prima che Hart emergesse.
"Mia moglie ed io chiamammo personalmente ciascuno di loro tra le primarie della California (il 2 giugno) e la convention, e loro non dicevano altro che 'Mi sarebbe piaciuto non aver promesso il mio voto a Mondale, ma l'ho fatto'" ha raccontato Hart.
Nonostante i sondaggi del mercoledì precedente alla convention mostrassero che Hart era nettamente più forte di Mondale come avversario di Ronald Reagan, i superdelegati rimasero fedeli ai loro impegni, Mondale fu nominato e i Democratici subirono una disfatta in 49 stati a novembre.
Hart, che oggi insegna all'Università del Colorado-Denver, ora supporta Obama. Ci sono chiare somiglianze tra i due: gli elettori hanno in prevalenza un livello di istruzione alto, e sono giovani. D'altronde anche la Clinton e Mondale si assomigliano, rappresentanti dell'establishment del partito, beneficiari del voto femminile, degli ispanici e dei bianchi appartenenti alle classi economiche basse (unica differenza, Hart dovette faticare per ottenere i voti dei neri [anche perchè nelle primarie era in corsa Jesse Jackson, ndG.]).
"Si deciderà alla convention come nel 1984, ma Obama ha molte più chance di avere il voto dei superdelegati rispetto a me, perchè molti di loro erano con Mondale da prima del New Hampshire".
Ecco il punto chiave: mentre Hart era nell'anonimato prima che il NH lo rendesse una star, i superdelegati oggi conoscono bene Obama fin dall'inizio della corsa. E nel 2008 sono più avveduti nel non allinearsi subito al favorito: nel 1984 i superdelegati erano una invenzione recente.
"Presumo che Hillary e suo marito siano al telefono con loro in questo momento, e stanno dicendo 'Ricorda quando eri con me alla Casa Bianca' oppure 'Ricorda quando ho fatto campagna per te'" ha detto Hart.
Il vantaggio di Obama, secondo Hart, è la sua abilità nell'attrarre i voti degli indipendenti e dei Repubblicani in vista di novembre.
"Diventerà una questione di lealtà contro eleggibilità" ha detto Hart "perchè sarà presto chiaro a chiunque che Obama è il candidato più forte alle presidenziali".
Hart spiega anche che, poichè con le presidenziali si svolgeranno anche le elezioni per il Congresso, molti superdelegati che saranno candidati, appoggeranno come nominato chi ha maggiori possibilità di vincere nel loro stato, e i buoni risultati raccolti da Obama nelle roccaforti repubblicane come il North Dakota o lo Utah possono fare la differenza anche in questo caso.
Hart fornisce la sua esperienza personale di senatore del Colorado "Nel 1980 correvo per la rielezione, e in quelle votazioni era candidato presidente Jimmy Carter, molto impopolare nello stato. Dovevo ottenere 26 punti in più di lui per vincere. Non è una cosa facile per nessuno".
Guardando alle future primarie, Hart sostiene che Obama dovrà allargare il proprio consenso fra gli ispanici, specialmente se vuole essere competitivo il 4 marzo in Texas. Gli altri grandi stati sono l'Ohio e la Pennsylvania, i cui governatori appoggiano la Clinton.
"Io vinsi in Ohio" ricorda Hart "quindi ce la può fare anche Obama. La Pennsylvania è un po' più difficile perchè il partito ha un'influenza molto forte".
Secondo Hart, l'unico caso in cui la nomination si deciderà prima della convention, è se la Clinton finirà i soldi, o se uno dei candidati farà un errore talmente clamoroso da perdere tutto il consenso. Hart ne sa qualcosa: nel 1984nei giorni finali delle primarie, lui fece delle dichiarazioni infelici sugli sprechi del New Jersey che occuparono i media e gli costarono la sconfitta nello stato, l'unico in cui perse fra gli ultimi 12 in cui si votò.
"Questi candidati sono molto, molto, molto stanchi, e non credo che le persone o i giornalisti se ne rendano conto"

lunedì 18 febbraio 2008

Verso il voto: le primarie in Wisconsin

L'immagine “http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/2/22/Flag_of_Wisconsin.svg/120px-Flag_of_Wisconsin.svg.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.

Collocato nel Nord-ovest degli USA, il Wisconsin confina con Iowa, Minnesota, Michigan, Illinois e con due dei Grandi Laghi, il Michigan e il Superior. Il nome deriva da una parola dei nativi americani, Miskwasiniing, che significherebbe "luogo dalla pietra rossa2, probabilmente in riferimento al fiume Wisconsin. I francesi, che occuparono il territorio nel 1634, lo chiamarono Ouisconsin, mentre la dicitura ufficiale risale al 1845.
Con i francesi, arrivarono in massa coloni dalla Germania e dall'Europa del nord nel XVII secolo. Nel 1763 la Francia cedette il Wisconsin alla Gran Bretagna, e il territorio passoò formalmente agli USA dopo Rivoluzione nel 1783, ma di fatto rimase sotto l'amministrazione inglese fino alla guerra del 1812. Nel 1848 è stato il trentesimo stato ad entrare nell'Unione.
Con una popolazione di 5.509.026 abitanti è il ventesimo stato più popoloso degli USA. La capitale è Madison, ma la città più popolosa e conosciuta è Milwaukee. E' uno degli stati in cui la pena di morte è stata abolita prima, nel 1853. Il Wisconsin è un cosiddetto "swing state", ovvero uno stato che oscilla tra Democratici e Repubblicani: attualmente il Governatore è il Democratico Jim Doyle, ma prima di lui la maggior parte dei governatori sono stati Repubblicani. Nelle presidenziali, dal 1988 in poi il Wisconsin ha sempre appoggiato i Dems.
Il Wisconsin è uno stato contadino, l'economia è basata prevalentemente sull'agricoltura e sull'industria manifatturiera, anche se negli ultimi anni si sta sviluppando anche l'industria farmaceutica. Anche il turismo è una importante fonte di introiti, specialmente grazie all'House of Rock e al Museo del circo, e d'estate con un gran numero di importanti festival.


Per i Democratici, il Wisconsin mette in palio 92 delegati, di cui 74 elettivi e 18 superdelegati, con il sistema della primaria aperta. Dei 72 elettivi, 48 delegati verranno distribuiti proporzionalmente ai candidati sulla base dei voti negli 8 distretti elettorali. Ogni distretto ha dai 5 agli 8 delegati in base alla sua estensione. Gli altri 26 delegati pledged saranno invece assegnati in basei ai risultati nell'intero stato. Durante la convention statale del 13 giugno verranno nominati i 18 superdelegati, tra cui il Governatore e i 7 membri Democratici del Congresso.
Il Wisconsin è uno stato diviso a metà, tra elettori appartenenti al target della Clinton e appartenenti a quello di Obama, e i sondaggi ne risentono. La Clinton era in vantaggio fino a gennaio, poi Obama è salito prepotentemente fino a raggiungere il 50% in un Public Policy Polling del 13 febbraio. Gli altri sondaggi sono tuttavia più cauti: Reaserch 2000, il 14 febbraio dava a Obama il 47% contro il 42% della Clinton, con un 11% di indecisi. Lo stesso giorno, Rasmussen confermana Obama al 47% e dava la Clinton al 43%. Nello stesso sondaggio, però, un quarto degli elettori dice di poter ancora cambiare idea, ed emerge un elettorato spaccato: la Clinton prevale tra le donne e gli anziani, Obama tra gli uomini e i giovani. In questi giorni, Obama ha ottenuto l'endorsement del Governatore Doyle.

Per i Repubblicani il Wisconsin mette in palio 40 delegati, di cui 37 elettivi e 3 unpledged. Dei delegati elettivi, 24 verranno assegnati in base ai risultati negli otto distretti: ogni distretto ha 3 delegati che vanno tutti al candidato che prenderà più voti, anche senza maggioranza assoluta. Gli altri 13 delegati elettivi, più i 3 unpledged, saranno invece automaticamente assegnati al candidato che prenderà più voti in assoluto nello stato.
Da tutti i sondaggi emerge una decisa leadership per John McCain. Il nominato in pectore ha il 45% secondo un sondaggio Strategic Vision del 10 febbraio, il 53% secondo un Public Policy Polling dell'11 e il 48% secondo un poll Research 2000 del 14 febbraio, mentre Huckabee oscilla tra il 27 e il 32% e Ron Paul è accreditato al 7% in tutti i sondaggi.

Rassegna stampa democratica: la guerra degli spot, i superdelegati ci ripensano, la Clinton chiede Florida e Michigan

L'ultima frontiera della "guerra" tra i candidati democratici si combatte in televisione. Qualche giorno fa ho postato lo spot in onda nel Wisconsin con cui la Clinton attaccava il rivale per essersi rifiutato di partecipare ad un dibattito nello stato.
La replica di Obama è arrivata a stretto giro di spot, in meno di 24 ore, con un video che inizia con queste parole "Dopo 18 dibattiti, e altri 2 in programma, Hillary dice che Barack Obama evita i dibattiti? E' la solita vecchia politica fatta di accuse false e ipocrite". Poi lo spot torna al programma di Obama per la sanità "Anche il ministro del Lavoro di Bill Clinton ha detto che il piano sanitario di Obama copre più persone di quello di Hillary taglia più spese."
Il giorno dopo, lo staff della Clinton ha diramato un nuovo spot, in cui oltre ad accusare Obama per il mancato dibattito, attacca il suo piano sanitario e spiega che Obama ha votato a favore di lobby petrolifere: "Barack Obama continua a sottrarsi al dibattito in Wisconsin nascondendosi dietro false accuse. Forse non vuole spiegare perchè il suo piano sanitario lascia 15 milioni di persone senza copertura mentre quello di Hillary riguarda tutti. O perchè ha votato a favore dei finanziamenti di Bush alle compagnie petrolifere mentre Hillary no. O perchè ha detto di voler alzare l'età pensionabile. Ma Hillary no. Perchè Barack Obama non vuole discutere queste differenze? Il Wisconsin merita di meglio".
L'ultimo (in ordine di tempo) capitolo è il nuovo spot di Obama: "Dopo 18 dibattiti, e altri 2 in programma, Hillary dice che Barack Obama evita i dibattiti? E' la solita vecchia politica. Ecco la verità: Obama ha un piano per proteggere i benefit e l'attuale età pensionabile. Hillary no. Sul piano sanitario, anche il ministro del Lavoro di Bill Clinton ha detto che quello di Obama copre più persone di quello di Hillary. E Obama ha sostenuto una legge per abolire i tagli alle tasse sulle compagnie petrolifere. Stanchi della solita vecchia politica? Votate per il cambiamento".
Per la cronaca, il numero di messe in onda degli spot di Obama ha surclassato quelli della Clinton grazie ai grossi investimenti del candidato dell'Illinois sulla copertura televisiva. E intanto il Governatore dei Wisconsin Jim Doyle, ha appoggiato Obama giudicando "molto ingenerosi" gli attacchi della Clinton.

I superdelegati ci ripensano

Negli ultimi giorni l'appoggio massiccio dei superdelegati a Hillary Clinton ha subito una inversione di tendenza. Da un lato l'inatteso successo di Obama, da un altro la possibilità che i big del partito siano decisivi per la nomination, hanno cambiato le carte in tavola.
Alcuni superdelegati di colore, che dall'inizio sostenevano la Clinton, hanno cambiato idea. John Lewis (nella foto insieme ad Obama), icona dei diritti civili e sostenitore della Clinton dallo scorso autunno, ha ritirato formalmente il suo endorsement dopo le insistente del Congressional Black Caucus, un'associazione di attivisti, che gli hanno chiesto di sostenere Obama. Inoltre Lewis è un superdelegato della Georgia, stato dove Obama ha stravinto. Lo stesso avrebbe fatto James Clyburn, rappresentante della South Carolina, che ha detto "Molti superdelegati hanno dato il loro appoggio mesi fa, credendo di seguire il pensiero prevalente, ma adesso hanno molti dubbi".
Dei 300 superdelegati ancora incerti, 30 hanno avuto stretti rapporti con i Clinton, ma 100 di loro provengono da stati in cui Obama ha vinto, spesso in maniera eclatante. E per la maggior parte sono uomini.
Molti superdelegati, riunitisi attorno ad Al Gore, hanno deciso di rimanere neutrali per ora, nella speranza di arrivare ad una soluzione "pacifica" che non renda necessario il loro intervento nella convention. Gore, assieme a Nancy Pelosi (che ha fatto sapere che appoggerebbe Obama, ma per il momento preferisce non esprimersi), John Edwards, Joe Biden e Chris Dodd, hanno incontrato entrambi i candidati spiegando che cercheranno di convincere gli altri superdelegati a non dare un appoggio finchè non sarà indispensabile. E' evidente per i Democratici il rischio che, una soluzione decisa dai big del partito, faccia pensare che la nomination sia stata decisa da poche persone e non dal popolo.

La Clinton vuole Michigan e Florida
Come previsto qualche settimana fa, nel momento in cui la corsa è diventata difficile e il Super Tuesday non ha cambiato le cose, Hillary Clinton ha deciso di chiedere ufficialmente che le vengano assegnati i delegati vinti in Michigan e Florida, i due stati penalizzati per aver anticipato le primarie.
Il Michigan aveva originariamente 156 delegati e la Florida 210, e la Clinton ha vinto con ampio margine in entrambi gli stati. Si calcola che in totale avrebbe conquistato 192 delegati contro i 72 di Obama, e spiccherebbe quindi un salto deciso verso la nomination.
Tuttavia il Partito Democratico ha già fatto sapere che non è un'ipotesi plausibile, sia perchè i due stati hanno violato le regole del Democratic National Committee rifiutando possibili date alternative concordate, sia perchè Obama non era presente come candidato in Michigan, e in Florida tutti i candidati hanno accettato di non fare campagna in Florida (anche se poi la Clinton ha violato l'accordo). La Clinton sostiene che i 2 milioni di elettori dei due stati abbiano diritto di vedersi rappresentati, mentre Obama si è detto disponibile che i delegati di Michigan e Florida partecipino alla convention ma senza diritto di voto.
La palla passa ora nelle mani di Howard Dean (nella foto), presidente del DNC, che ha già fatto sapere di non volersi inserire nelle polemiche tra i due candidati, ma che comunque le regole vanno rispette.
Un'ipotesi sul tavolo è quella di far ripetere il voto nei due stati, nel caso in cui fosse indispensabile per decidere la nomination.

domenica 17 febbraio 2008

La dura vita dei candidati

L'immagine “http://i.l.cnn.net/cnn/2008/HEALTH/02/15/campaign.health/art.candidates.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
di David S. Martin (CNN)

Il programma di John McCain prevede un volo da Washington al Wisconsin, oggi. Un incontro con la cittadinanza a Oshkosh, un altro a La Crosse e una cena a Milwaukee. Poi il candidato repubblicano potrà volare a casa sua in Arizona.
Il suo collega repubblicano Mike Huckabee e il democratico Barack Obama hanno anche loro appuntamenti in Wisconsin, e Hillary Clinton avrà un comizio in Ohio.
E' così che funziona questo test di resistenza, che dura dei mesi, che comincia la mattina e finisce la notte, chiamata campagna elettorale presidenziale, questa super-maratona in cui i candidati devono rimanere lucidi e concentrati tra i viaggi, la fatica e lo stress.
"Sto scoprendo per quanto a lungo posso evitare di dormire. Cercare di diventare Presidente è un po' come essere torturato" ha detto Huckabee. E stava scherzando solo in parte.
La fatica è solo uno dei problemi dei candidati.
"Provi a dormire dovunque puoi, di solito sugli aeroplani o in macchina. E certi giorni non c'è abbastanza caffeina nel mondo per tenerti in piedi. Ma devi andare avanti" ha raccontato Hillary Clinton.
Viaggiare tra fusi orari diversi perdendo i ritmi quotidiani rende più difficile dormire, ha spiegato il Dr. Rick Kellerman. E gli studi hanno dimostrato che la fatica incide sulla memoria e l'apprendimento.
Kellerman però non pensa che lo stress sia un problema per i candidati. "Ci sono persone che hanno imparato ad affrontare lo stress. Possono anche essere avvantaggiati dallo stress".
La campagna elettorale ha portato uno spavento a Rudy Giuliani che, a dicembre, dovette fermare il suo aeroplano as St.Louis, Missouri, per farsi visitare al pronto soccorso a causa di un grave mal di testa.
La campagna elettorale mostra anche in che modo i candidati si preoccupino della propria salute.
Huckabee, 52 anni, è sembrato il più diligente nel fare esercizio fisico, facendo jogging per quattro o cinque giorni la settimana. Quando era Governatore dell'Arkansas, pesava 130 kili e aveva due tipi di diabete, oggi pesa 85 kili e non ha più sintomi.
Sopravvissuto ad un cancro alla pelle, McCain deve evitare di prendere il sole. Operato nel 2000 per un melanoma invasivo, McCain ha detto di non avere più sintomi e di vedere il dermatologo ogni tre mesi.
A 72 anni, McCain sarebbe il più anziano presidente al primo mandato. Reagan aveva 69 anni quando fu eletto.
Interrogato a proposito della sua età, il senatore dell'Arizona ha citato la sua madre novantacinquenne come prova di buoni geni e ha aggiunto "Lavoro 24 ore al giorno 7 giorni su 7. Sono molto attivo, amo la vita".
Dovunque vada, Obama ha un pacchetto di gomme Nicorette a portata di mano. Il 47enne candidato ha raccontato di aver smesso di fumare prima della campagna elettorale, su insistenza di sua moglie Michelle.

Michigan e Louisiana: per McCain altri 50 delegati

Si sono tenute ieri due convention statali, in Michigan e Louisiana, che hanno risolto alcune controversie riguardo l'assegnazione dei delegati elettivi.


L'immagine “http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/7/73/Michigan_state_flag.png/120px-Michigan_state_flag.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
Il Michigan, come si ricorderà, era stato privato dal partito di 27 dei suoi 57 delegati originari, come penalizzazione per aver svolto le elezioni prima della data prevista. Stando ai risultati del 15 gennario, Mitt Romney aveva vinto le primarie ottenendo 23 delegati, contro i 6 di McCain e 1 di Huckabee. Anche se ufficialmente i delegati di Romney andranno alla convention nazionale di settembre unpledged, cioè senza assegnazione a un candidato, 18 di loro hanno già fatto sapere che seguiranno l'invito di Romney ad appoggiare McCain, che così avrà l'appoggio di 24 delegati dello stato. Huckabee ha invece ottenuto il sostegno di tre dei delegati di Romney, mentre i restanti due non hanno ancora espresso una preferenza.
Tuttavia il quadro potrebbe essere sconvolto in caso il ricorso del Michigan venga accolto e lo stato ottenga di nuovo tutti i suoi delegati. Gli attivisti del Gop hanno annunciato che manderanno alla convention repubblicana tutti i delegati originariamente previsti, e infatti durante la convention sono stati assegnati anche quelli ufficialmente esclusi. In base a questo conto, Romney avrebbe avuto 45 delegati, e quelli intenzionati a sostenere Romney sarebbero 36 mentre per Huckabee sarebbero in 6.


L'immagine “http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d3/Louisiana_state_flag.png/120px-Louisiana_state_flag.png” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.
In Louisiana, la convention di sabato a Baton Rouge ha selezionato 44 dei 47 delegati totali, e ha nominato i tre superdelegati. Le complesse regole del voto nella Louisiana prevedevano un caucus distrettuale, il 22 gennaio, per selezionare 24 delegati alla convention statale, mentre le primarie del 9 febbraio servivano ad eleggere gli altri 20 delegati che sarebbero stati assegnati, assieme ai primi 24, ad un candidato qualora questi avesse superato il 50% di voti. Poichè il vincitore, Huckabee, non ha ottenuto la maggioranza assoluta ma solo il 43% contro il 42% di McCain (che però aveva vinto i caucus di gennaio), la convention ha stabilito che i delegati andranno alla convention ufficialmente unpledged. 32 dei 44 delegati elettivi hanno riferito alla Associated Press che sosterranno McCain, mentre gli altri 12 non si sono espressi o non hanno ancora deciso. I tre dirigenti di partito eletti come super-delegati, sono anch'essi sostenitori di McCain.

Analisi del voto nel Potomac

http://i.l.cnn.net/cnn/2008/POLITICS/02/08/dem.delegates/art.obama.clinton.file.gi.jpg
Nelle primarie del Potomac - Maryland, Virginia e Distretto di Columbia - Obama ha ottenuto una vittoria su tutti i fronti contro la Clinton: ha vinto tra le donne, tra i bianchi, tra gli anziani, tra i latinoes e in ogni classe economica. La Clinton ha perso il supporto delle donne e delle classi economiche medio-basse, degli elettori con istruzione medio-bassa, degli anziani e degli ispanici, ovvero i "target" in cui era leader fino a quel momento.
Lo zoccolo duro di Obama sono ancora i giovani: un terzo dei suoi elettori era al suo primo voto nelle primarie, ed è questo uno dei motivi per cui i sondaggi non conferivano al senatore dell'Illinois il largo margine di vantaggio con cui poi ha vinto: molti dei suoi elettori non figuravano tra i votanti abituali.
La Clinton adesso deve fronteggiare un trend negativo proprio quando le primarie fanno tappa in Wisconsin, ovvero in uno stato industriale con molti elettori appartenenti alle classi operaie, quel tipo di elettorato che le ha conferito il successo in New Hampshire. Lo stato ha però anche una vasta popolazione studentesca e una solida tradizione progressista, tutti elementi che volgerebbero in favore di Obama. Oltre che in Wisconsin, si vota anche alla Hawaii, stato natale di Obama, che dovrebbe ottenere una agevole vittoria. Ciò vuol dire che, da martedì fino al 4 marzo, la Clinton si troverà ad affrontare una "traversata nel deserto", superata per numero di delegati e con lo staff rivoluzionato. Il fattore tempo può giocare però a suo favore: se è vero che fino al 4 marzo non potrà prendersi una rivincita, è anche vero che Obama non potrà conquistare altre vittorie, e sappiamo che il suo crescente successo è dovuto proprio all'effetto domino della sua campagna. Nel periodo di pausa, la Clinton può muoversi per fare in modo che gli elettori ponderino bene le loro scelte.
Sulla sponda repubblicana, il Potomac ha finalmente assegnato a McCain una vittoria schiacciante in Maryland, segno che i conservatori del Nord lo stanno accettando come candidato. Le cose sono andate diversamente in Virginia, dove il 46% degli elettori si definiscono cristiani evangelici e il 60% dei conservatori ha scelto Huckabee, e infatti McCain ha vinto per soli 9 punti di distacco. Il messaggio populista di Huckabee non ha però fatto breccia tra i più anziani e tra chi guadagna più di 100.000 dollari all'anno, e visto che questo tipo di elettore è molto diffuso in Wisconsin, McCain potrebbe ottenere un'altra convincente vittoria martedì.

tratto dagli editoriali di John Helton (CNN) e Vaughn Ververs (CBS)